Juan
Domingo Peròn e la rivoluzione cubana
(Javier
Iglesias - Juan Carlos Benedetti)
Traduzione
a cura di Stefano Greco
Riproduciamo
il saggio di due esponenti del peronismo radicale: Javier Iglesias e
J. C. Benedetti.
Javier
Iglesias, assassinato nel settembre 1996, a Buenos Aires dalla polizia
menemista, è stato un luminoso esempio di intellettuale e combattente
per la libertà e la giustizia sociale.
Includiamo,
nell'articolo successivo, un proclama di Peròn alla base
giustizialista, del '67, in occasione della morte di Ernesto Che
Guevara, dal quale si possono desumere quali fossero le reali
convinzioni dell'uomo politico argentino rispetto alla rivoluzione
socialista, popolare e nazionale di Fidel Castro.
*
* *
Il
presente lavoro prende in esame uno degli aspetti meno conosciuti
della storia del peronismo: l'influenza che le teorie di Peròn ebbero
rispetto alle forze che realizzarono la rivoluzione cubana nella
decade 1940-1950 e in specie su Fidel Castro e sul nascente movimento
insurrezionalista. Il presente saggio è un anticipo di un più esteso
lavoro trattante non solo sull'influenza delle idee peroniste sulla
rivoluzione cubana ma anche sulla successiva gravitazione del
castrismo trionfante ('59) attorno al peronismo della resistenza e
dell'esilio.
Il
tema di questo saggio può apparire solo storico, ma il nostro vero
obiettivo è, essenzialmente, politico: intendiamo riscattare in tutta
la sua integrità rivoluzionaria, anti-oligarchica e antimperialista
di quel gigante libertario che fu Juan Domingo Peròn il cui messaggio
di liberazione e giustizia ha spaziato oltre le frontiere argentine
per assumere una dimensione continentale, con rilevanti ricadute su
tutte le lotte di liberazione del cosiddetto Terzo Mondo. Peròn è
storicamente un rivoluzionario, non certo il leone sdentato che
pretendono di proporre i transfughi liberal-menemisti postisi al
servizio dello stesso imperialismo contro il quale Peròn, senza
soluzione di continuità, ha combattuto. Allo stesso modo poco e nulla
vi è di peronista in certo neo-giustizialismo «rosa» e
socialdemocratizzante che, sebbene critico delle innegabili devianze
di Menem, coincide con le idee reazionarie di quanti sono intenti
nella costruzione di uno pseudo-peronismo, piccolo borghese e
intellettualoide spurgato di tutti i contenuti nazionali, proletari,
popolari, terzomondisti e rivoluzionari.
A
fronte delle commistioni imperialiste e riformiste che caratterizzano
i castrati dal centrosinistra argentino e i falsi nazionalismi degli
anti-peronisti opponiamo la ferma convinzione nei valori rivoluzionari
del terzerismo anti-colonialista. La bancarotta delle dittature
burocratico-comuniste dissoltesi con l'Unione Sovietica e il trionfo
del blocco imperialista guidato dai super-banditi statunitensi è la
conferma della tesi, per noi fondamentale, che l'unico anticapitalismo
possibile è rappresentato dal movimento nazionale e popolare della
"Terza Posizione". Ricordare il messaggio rivoluzionario di
Juan Domingo Peròn è, riaffermando la sua valenza attuale,
rammentare anche l'influenza del Giustizialismo sulle prime fasi della
rivoluzione castrista cubana come abbiamo avuto modo di sottolineare
in passato: «L'evolversi della situazione cubana può trovare il suo
riscontro con la Grande Patria latino-americana se questa,
prescindendo dalle vecchie formule marxiste, rialzerà di nuovo la
bandiera del nazionalismo rivoluzionario terzerista del castrismo
iniziale. La fine dell'impero comunista anticipa la crisi di quello
capitalista. Ogni popolo deve lottare per la propria emancipazione
nazionale e, al tempo stesso, stabilire relazioni solidaristiche con
le altre nazioni oppresse dall'imperialismo, dall'ingiustizia e dalla
reazione». (1)
Introduzione
Il
26 luglio '53 il movimento castrista ottiene l'attenzione della stampa
internazionale in occasione dell'assalto alla Caserma Moncada.
Un'azione di guerriglia il cui scopo è quello di suscitare interesse
sulla situazione cubana e sul massacro, ad opera della polizia del
dittatore Batista, di un centinaio di combattenti rivoluzionari e
semplici oppositori. La reazione degli apparati repressivi è
furibonda: la cruenta repressione costringe vari guerriglieri
fidelisti a cercare scampo all'interno dell'Ambasciata argentina. È
il caso, ad esempio, di Raul Martìnez Araràras e Antonio Lòpez
responsabili dell'attacco, contemporaneo a quello della Moncada, alla
caserma del Baymo allo scopo di impedire a questa guarnigione -oltre
400 soldati- di accorrere in soccorso di quelli attaccati dal gruppo
di Fidel. (2)
Nell'Ambasciata
argentina de L'Avana trovano altresì asilo numerosi sindacalisti del
quotidiano ufficiale "Alerta" e altri dirigenti politici
sospettati di essere tra i maggiori responsabili dell'operazione
guerrigliera. Ci riferiamo a Josè Pardo Llada, dirigente del Partito
del Popolo Cubano «Ortodoxo» in cui milita Fidel Castro, il futuro
combattente della Sierra Maestra che, a quel tempo, è uno dei
maggiori simpatizzanti del peronismo nell'Isola caraibica e già
autore di diversi scritti nei quali si esalta il Terzerismo
giustizialista. (3)
L'evidente
solidarietà del governo peronista rispetto ai combattenti
anti-batistiani contrasta con la posizione di alcuni gruppi
suppostamente «antidittatoriali», «anti-imperialisti» e «rivoluzionari»:
i comunisti filo-sovietici cubani del Partito Socialista Popolare, per
citare solo un esempio, condannano, nella "Carta de la Comisiòn
Ejecutiva Nazional del PSP a t'odo los Organismos del Partido"
(30 agosto '53), il castrismo definendo l'assalto alla Moncada un atto
«avventurista, golpista e disperato; caratteristica azione di una
piccola borghesia compromessa col gangsterismo». Solo nel luglio '58,
pochi mesi prima del trionfo finale, i comunisti cambiarono posizione
salendo sul carro del vincitore.
Il
rapporto tra la guerriglia castrista e l'Argentina peronista non sarà
per nulla sporadico tanto che Carlos Franqui -militante della prima
ora, dirigente della guerriglia, sia nei centri urbani che nella
Sierra Maestra, segretario organizzativo del Comitato in Esilio del
Movimento 26 luglio e, dopo la vittoria fidelista direttore del
quotidiano ufficiale "Revoluciòn"- in un suo libro ricorda
che «almeno ai princìpi degli anni '50, Fidel Castro, simpatizzava
con il peronismo antimperialista». Si tratta, come vedremo, di
un'attitudine per niente «platonica» ma basata su contatti organici
e su rapporti politici concreti.
L'esempio
della rivoluzione peronista
Sebbene
non sia tra i nostri scopi analizzare in profondità la Rivoluzione
peronista del 1945-'55, non si può comprenderne l'influenza da essa
esercitata sulla nascita del castrismo senza collocare questa
esperienza nel più ampio contesto latino-americano dell'epoca.
Il
peronismo prende il potere e lo consolida in conflitto totale con
l'imperialismo statunitense e le oligarchie locali a questo associate.
Lo slogan «Braden o Peròn» con il quale nasce il Movimento
Nazional Popolare del quale Peròn è subito leader lo segna
profondamente, ne dimostra il suo carattere antimperialista, e che non
sia un anti-imperialismo retorico lo dimostrano alcune semplici cifre:
il capitalismo multinazionale che nel '45 era il 15,4% del totale
nazionale argentino nel '55 era stato ridotto al solo 5,1%. I profitti
delle multinazionali che negli anni 1940/'45 assommavano a 382 milioni
di dollari annuali (del tempo!) si erano ridotti nel '55 a meno di 34
milioni. Le nazionalizzazioni dei mezzi di comunicazione, dei
trasporti, del sistema finanziario e delle assicurazioni, del
commercio estero, furono gli strumenti, uniti ad una energica politica
di industrializzazione per limitare le importazioni, indispensabile
per raggiungere l'indipendenza economica base imprescindibile della
sovranità nazionale e della giustizia sociale.
Contraddicendo
quanti affermano la necessità dell'apporto del capitale straniero -in
questo caso principalmente inglese e nordamericano- per i paesi a «sovranità
limitata» del Terzo Mondo, l'indipendenza economica si caratterizza,
nella prassi peronista, quale garante di un processo di crescita senza
eguali nel nostro paese. Le cifre lo dimostrano: tra il '46 e il '55
la produzione nazionale passa da 164 milioni di Pesos a 277 milioni,
con una crescita superiore al 12% annuale. Nello stesso periodo il
prodotto congiunto dell'industria manifatturiera, dei servizi
energetici, dei trasporti e comunicazioni passano da 224,1 milioni di
Pesos a 324,5 milioni, un incremento superiore al 30% se confrontato
con la decade precedente ('35/'45).
Con
ciò si spiega come l'Argentina peronista, a differenza dei paesi
capitalisti, godesse in quel periodo di prosperità e piena
occupazione. Indipendenza economica e sovranità politica, d'altra
parte, ebbero grandi ripercussioni su tutto il popolo lavoratore cosa
mai accaduta prima nella storia del nostro Continente.
L'occupazione
nei settori salariati passò dal 44,1% al 57,4% (attualmente non è
molto sopra il 20%) e i salari reali passarono da un indice 100 nel
'45 a un indice 164,7 nel '55. Alla ricaduta di benefici diretti vi
sono da aggiungere quelli non meno palpabili dei benefici indiretti:
opere sociali, ferie pagate, saldo annuale straordinario («aguinaldo»),
colonie per le vacanze, assistenza sociale diretta tramite la
"Fondazione Eva Peròn", costruzione di scuole e ospedali
(nel '46 gli ospedali argentini disponevano di 15.400 camere che nel
'51 erano già diventate 114.000), assistenza medica gratuita, scuole
tecniche, università nazionali, contenimento dei prezzi, lotta
all'analfabetismo crollato, in dieci anni, dal 15 al 3,9%, etc.
Lo
Stato sindacalista
Tutto
questo, evidentemente, colpisce la fantasia dei numerosi rivoluzionari
anti-imperialisti latino-americani; anche tenendo conto che Peròn
insiste nel dire che questo è solo l'inizio: il «principio» di una
rivoluzione più profonda. Ed il 10 maggio '52, infatti, Peròn
proclama: «Per il capitalismo il reddito nazionale del capitale
appartiene ineludibilmente ai capitalisti; il collettivismo sostiene
che il reddito nazionale prodotto dal lavoro comune appartiene allo
Stato, perché lo Stato è proprietario totale e assoluto del capitale
del lavoro. La dottrina peronista afferma che il reddito del paese è
prodotto dal lavoro ed appartiene, per questo, ai lavoratori che lo
producono» ed è quindi conseguenziale che: «i lavoratori
acquisiscano progressivamente la proprietà e la gestione diretta dei
beni capitalistici e della produzione, sia nel commercio che
nell'industria, anche se questo processo per forza di cose sarà lento
e graduale».
Si
tratta, come scriverà uno studioso del fenomeno peronista, di
prospettive largamente imparentate con il Sindacalismo Rivoluzionario:
«Diversamente dal socialismo marxista, il peronismo, si nutri e adottò
le idee fondamentali dell'anarco-sindacalismo italiano, francese e
spagnolo del quale vi era una non trascurabile tradizione nel "gremialismo"
argentino. Si tratta qui di due esigenze: a) diretto protagonismo
politico del sindacato (non attraverso la mediazione di un partito)
sugli interessi generali quale strumento di azione; b) l'obiettivo di
amministrare direttamente i mezzi di produzione. Già il Congresso
sindacale di Amiens (1906) aveva proclamato: «il sindacato
attualmente è solo un centro di resistenza, ma nel futuro sarà
responsabile della produzione e della distribuzione della ricchezza
che sono alla base dell'organizzazione sociale». (5)
Questa
similitudine è palpabile allorché Peròn definisce lo Stato
Giustizialista del futuro come uno «Stato sindacalista» giacché: «Qui
si viene dimostrando come il cammino, diciamo così, della teoria,
dentro il politico e il sociale del mondo, si trova in uno stato di
transizione. Noi siamo a cavallo di questa evoluzione, questo è il
mio concetto. Abbiamo la metà sopra il corpo sociale e l'altra metà
sopra il corpo politico. Il mondo si spacca tra politico e sociale.
Noi non stiamo decisamente né in un campo né nell'altro, stiamo
assistendo alla fine dell'organizzazione politica e all'affermarsi
dell'organizzazione sociale (...) Io non posso abbandonare il partito
politico per rimpiazzarlo col movimento sociale. Tantomeno però posso
rimpiazzare il movimento sociale con quello politico. Al momento tutte
due sono indispensabili. Se questo processo continua, noi aiuteremo
questa evoluzione. Quando giungerà il momento propizio noi faremo un
funerale di prima classe, con sei cavalli, al partito politico e
creeremo un'altra organizzazione. Stiamo andando verso lo Stato
sindacalista, tutti lo tengano presente». (6)
L'importanza
dell'organizzazione sindacale nello Stato e nel Movimento peronista,
del quale esso è la «colonna vertebrale», l'esistenza di ministri,
deputati e governatori operai, il ruolo dei sindacati nella
costituzione delle provincie; la sindacalizzazione (con l'acquisizione
delle proprietà da parte dei sindacati dei lavoratori) delle birrerie
Bemberg e del quotidiano "La Prensa", sono chiari segnali
che nel '60 Peròn si periterà di definire quale «socialismo
nazionale, umanista e cristiano», come dire: il socialismo
sindacalista autogestionario di liberazione nazionale della Terza
Posizione.
Il
nazionalismo rivoluzionario cubano
Grande
è l'influenza esercitata dalla Rivoluzione peronista in America
Latina, ma è soprattutto a Cuba che il fenomeno giustizialista
dispiega tutta la sua forza suggestiva, tanto che nel '56 un articolo
sulla rivoluzione castrista asserisce che «Cuba è il fuoco peronista
che arde nel Caribe». (7) Questa affermazione è l'eco della
congiunzione nell'isola caraibica di due fattori: la presenza diretta
del prepotente capitalismo statunitense ed il carattere apertamente
controrivoluzionario del comunismo pre-castrista cubano.
Rispetto
alla presenza statunitense è importante ricordare che Cuba fu
l'ultimo Paese latino-americano a raggiungere l'indipendenza,
liberandosi dal dominio spagnolo (1898) grazie soprattutto alla
presenza di truppe USA approdate nell'Isola in virtù del mai chiarito
attentato alla nave Maine. Il carattere coloniale di questa Cuba
-suppostamente «indipendente»- è confermato dalla «carta
costituzionale» in cui viene incluso (giugno 1901) il famigerato «emendamento
Platt» (dal nome del suo estensore Orviolle Hitchcock Platt, senatore
del Connecticut) che afferma esplicitamente: «Cuba consente che gli
Stati Uniti possano esercitare il diritto di intervenire per la difesa
dell'indipendenza cubana e per il mantenimento di un governo adeguato
per la protezione della vita, della proprietà e della libertà
individuale».
A
fronte dell'espansionismo yanqui, già denunciato da patrioti
come Josè Martì («Ho vissuto dentro il mostro e ne conosco le
viscere») sorge un nazionalismo antimperialista intransigente, come
scrive il prof. Robert F. Smith, del Texas Lutheran College, nella sua
opera "The USA and Cuba", ma già nel giugno '22 (non nel
'59 o nel '60!) un quotidiano de L'Avana aveva titolato su otto
colonne, in prima pagina: «L'odio per gli USA sarà la religione per
i Cubani».
Quando
per contenere le spinte antimperialiste gli USA utilizzeranno la
sanguinosa dittatura del presidente del Partido Liberal, Gerardo
Machado ('24-'33) l'opposizione patriottica e popolare sarà obbligata
a far ricorso alla resistenza armata, al terrorismo individuale, al
sabotaggio e alla cospirazione insurrezionalista. È in questa
esperienza di nazionalismo rivoluzionario che va ricercata, a nostro
avviso, non certo nel marxismo, l'etica del castrismo.
Il
nazionalismo cubano di fronte al comunismo
Nel
settembre '33 una strana mobilitazione delle masse popolari, rivolta
generalizzata e contemporaneo sollevamento militare, pone termine alla
dittatura di Machado e conferisce il potere ai rappresentanti del
nazionalismo rivoluzionario.
Ramon
Grau San Martìn e, soprattutto, Antonio Guiteras fautore,
quest'ultimo di una rivoluzione nazionale antimperialista avente lo
sbocco finale in un socialismo autoctono che -come recita il suo
programma- non era «una costruzione politica capricciosamente
immaginata ma una deduzione nazionale basata sulle leggi della
dinamica sociale». (8)
Questo
governo è, sin dal suo esordio, combattuto dalle forze
pro-capitaliste statunitensi ed anche dai comunisti indigeni che
organizzano ed armano, in diverse province dell'Isola, numerosi «soviets»
allo scopo dichiarato di scalzare il «governo borghese».
La
sedicente ultrasinistra filo-sovietica combatte un governo popolare
dichiaratamente antimperialista in base ad un accordo, raggiunto in
piena insurrezione anti-machadista (agosto '33) dai dirigenti
comunisti Cèsar Vilar e Vicente Alvarez che «hanno promesso a
Machado di sospendere l'insurrezione in cambio del riconoscimento
ufficiale del CONC, i sindacati cubani. (9)
Avviluppati
nella logica della «classe contro la classe» -indicata
dall'Internazionale Comunista, gli stalinisti Caraibici considerano il
«borghese» Machado più degno degli oppositori (impegnati contro di
lui in una sanguinosa lotta), al solo scopo di ottenere particolari
benefici per la loro parte politica ed essere pienamente legalizzati.
Astiosamente, alcuni anni dopo, Fabio Grobart, fondatore del PC
cubano, affermerà che l'ordine comunista di interrompere
l'insurrezione non ottenne esito alcuno in quanto «gli uomini de
L'Avana -che erano gli unici in grado di ottenere un risultato-
eliminarono con un'azione ferma e decisa qualsiasi incomprensione sul
carattere dell'insurrezione, sia nel partito che nel CONC,
rettificando il momentaneo errore e si adoperarono affinché i
lavoratori adottassero unanimamente la decisione dello sciopero
generale perché Machado venisse estromesso dal potere». (10)
L'azione,
come vedremo, risultò comunque esiziale per il governo
nazionalpopolare in quanto essa determinò il miracoloso passaggio dei
sostenitori di Machado nell'ultrasinistra comunista. Una vomitevole
mistura che commise ogni sorta di angherie nei confronti dei patrioti
cubani.
La
dittatura di Batista
Approvando
e attivamente partecipando all'alleanza tra destra reazionaria e
stalinisti, volta a porre fine al governo Grau-Guiteras, il colonnello
Fulgencio Batista si appropria del potere direttamente o per mezzo di
presidenti fantoccio fin dal '39, cancellando ogni spazio democratico
e costringendo le opposizioni alla lotta armata. È per questo che
Grau San Martìn fonda il Partito Rivoluzionario «autentico», le cui
basi ideologiche si richiamano a «varguismo, cardenismo e peronismo:
al MNR boliviano, ad Acciòn Democràtica venezuelana». (11) A sua
volta Guiteras costituisce l'organizzazione rivoluzionaria
politico-militare «Joven Cubs» con caratteristiche nazionaliste e
socialiste. Il gruppo nazionalista influenzato dal fascismo segue
operando militarmente i settori insurrezionali del Partito «Autentico»
costituendo numerose organizzazioni di combattenti (Unione
Insurrezionale Rivoluzionaria, Organizzazione Autentica, Movimento
Socialista Rivoluzionario).
A
questo blocco di opposizioni non aderisce il partito Comunista il
quale, dal '38, seguendo la nuova linea «antifascista» della IIIª
Internazionale, considera Batista suo possibile «alleato». Il
ragionamento degli uomini di Mosca ha una sua logica: il fascismo
europeo è il nemico principale dell'URSS, mentre gli Stati Uniti sono
il possibile alleato, di conseguenza, i diversi governi
filo-statunitensi, come quello di Batista, vanno sostenuti dai PC
locali. Nel caso cubano questa strategia ottiene dei risultati
evidenti: a) alla fine del '38 viene legalizzato il Partito Comunista
cubano; b) il 25 luglio '40 il generale Batista, appoggiato
apertamente dal PC cubano, ottiene una smagliante vittoria sul Partito
«Autentico» ottenendo che la nuova costituzione democratica non
entri in vigore prima del '43. Il trionfo batistian-comunista viene
ottenuto con l'antico metodo dello scrutinio ristretto che permette di
votare a meno della metà dell'elettorato; c) il 24 luglio '42,
Batista, apre ai comunisti: entrano nel suo governo con l'incarico di
ministri Juan Marinello e Carlo Rafael Rodrìguez. Sono i primi
comunisti al potere in America Latina. Rodrìguez, paradossalmente,
diverrà anche un influente esponente del governo castrista.
Le
prime elezioni libere avvenute nel '44 chiudono la parentesi
batistian-comunista giacché il dottor Grau San Martìn ottiene uno
strepitoso successo elettorale (oltre il 65%) ridicolizzando Salgarida,
il candidato di Batista sul quale convergono anche i voti comunisti.
Tutto ciò presuppone un evidente arretramento degli stalinisti cubani
che, privati dell'appoggio statale, sono spazzati via dall'azione dei
sindacalisti «autentici» o, semplicemente, dai gruppi insurrezionali
che si opposero alla dittatura di Batista con atti di guerriglia sia
contro la dittatura che contro i suoi alleati comunisti.
Il
giovane Fidel Castro
Nel
'45, anno della rivoluzione peronista, Fidel si iscrive all'Università
dell'Avana ed inizia la sua attività politica. La sua naturale
vocazione rivoluzionaria lo porta a simpatizzare con i gruppi
insurrezionalisti -non smobilitati dopo la vittoria- del Partito «Autentico»
che mantenevano certe caratteristiche nazional rivoluzionarie. Entra
così nell'Uniòn Insurreccional Revoluzionaria di Emilio Tro. Secondo
quanto affermano alcuni autori (Yves Guilbert, Pardo Llada, K. S.
Karol) egli milita all'interno dell'UIR come «indipendente» per
evitare di schierarsi col Movimento Socialista Rivoluzionario che, pur
essendo parte dell'UIR, vuole sostituire Tro portando al vertice
dell'organizzazione Mario Salabarrìa.
Salabarrìa
è precisamente la stessa persona che nel '47 organizza l'Ejèrcito de
Liberacion de Amèrica, diviso in quattro battaglioni- rispettivamente
denominati "Antonio Guiteras", "Màximo Gòmez",
"Josè Martì", "Augusto Cèsar Sandino", con
l'intenzione di invadere Santo Domingo, per abbattere la dittatura di
Trujillo, e allo stesso tempo progetta di accendere un fuoco
guerrigliero nel Nicaragua di Anastasio Somoza.
Fidel
Castro, insieme a Carlos Franqui, è parte di questa spedizione nonché
uno dei pochi che riesce ad evadere, dopo tre mesi di prigionia, dal
campo di concentramento di Cayo Confite, dove i rivoluzionari sono
detenuti dall'esercito cubano timoroso delle reali intenzioni di
questo numeroso gruppo armato. La prima azione che possiamo definire
«armata» di Castro, anche se è solo una giovane recluta, è del
tutto in linea con la prospettiva peronista. Lo storico K. S. Karol,
parlando della spedizione di Santo Domingo, assicura che «essa ha
ricevuto dal presidente argentino Peròn un apprezzabile regalo:
350.000 dollari e numerose armi di vario tipo». (12) Dunque noi
crediamo che se questo appoggio fosse reale -non esiste sulla
circostanza alcun documento scritto e nessuna testimonianza del
governo argentino che possa corroborare l'affermazione- ciò serve ad
inquadrare quello che rappresentava il peronismo all'epoca: un
movimento rivoluzionario di natura antimperialista, socialista e
libertaria.
Peròn
e Fidel Castro
Il
primo contatto documentato tra castrismo e peronismo risale al
principio dell'anno seguente. Il dirigente peronista Antonio Cafiero
ricorda che si parlava di creare una federazione nazionale degli
universitari peronisti: «Si intendeva organizzare un congresso, sia
nazionale che latino-americano, degli studenti nazionalisti. Informato
Peròn ed ottenuto il suo consenso, mi recai accompagnato da un
dirigente cubano, Santiago Touriño Velàquez, a Santiago del Cile,
Lima, Panama e L'Avana. I referenti politici erano scontati: Albizu
Campos, Haya de la Torre, Arnulfo Arias. Nel marzo '48 andammo a
L'Avana e a una delle nostre riunioni assistette Fidel Castro. I miei
interlocutori, specie Touriño, mi informarono sulle propensioni
radicali di Fidel (...) Touriño, che attualmente vive in esilio, lo
descrisse come una figura singolare. Non parlai direttamente con lui
ma pochi giorni dopo Castro partecipò insieme agli altri studenti
cubani alla conferenza di Bogotà».
Sulla
partecipazione di Castro al congresso latino-americano degli studenti
peronisti, ed alle riunioni preliminari, molte informazioni vengono
dal dirigente cubano Pardo Llada: «Alla fine del marzo '48 arrivò a
L'Avana il senatore argentino Diego Luis Molinari, che si faceva
chiamare Luis Priori, con l'incarico di delegato dell'Ambasciata
argentina. Questi stabilì contatti con i principali dirigenti
universitari cubani e li invitò a partecipare ad una conferenza
anti-colonialista a Buenos Aires, nella quale si sarebbe, tra le altre
cose, reclamata l'indipendenza delle isole Malvinas. L'ambasciatore
peronista si incontrò col presidente del FEU Alfredo Olivares e con
il segretario di questo organismo, il comunista Alfredo Guevara appena
tornato a Mosca dove si era recato per curarsi, almeno così
sosteneva, una malattia ai polmoni. Entrambi si recarono a Bogotà,
parlando alla nona conferenza americana, per propagandare il congresso
anti-colonialista di Buenos Aires, convocato da Peròn per i primi
giorni di maggio. Anche Castro raggiunse Bogotà per unirsi alla
delegazione. L'incontro con l'ambasciatore di Peròn avvenne all'Hotel
Nacional nel quale Peròn era giunto accompagnato da Rafael del Pino e
dallo studente peronista Santiago Touriño.
Castro
fu quello che più degli altri impressionò favorevolmente Molinari.
Il senatore, infatti, si rese conto che il giovane già possedeva il
carisma del leader. L'incontro si concluse con l'invito, da
parte dell'Ambasciatore, a partecipare ad un viaggio con scali in tre
città: Panama, Bogotà e Caracas, con i biglietti, ovviamente, pagati
da Peròn. Andarono in Colombia Enrique Ovares, Alfredo Guevara, Fidel
Castro e Rafael del Pino. Allo stesso tempo un'altra delegazione di
studenti cubani, Touriño, Taboada e Esquivel, su incarico del
senatore peronista, visitarono vari paesi del Centramerica col compito
di far proseliti e farli convergere alla conferenza anti-colonialista
di Buenos Aires». (14)
L'ideologia
del giovane Castro
Il
Fidel che mantiene i contatti e le relazioni con l'Argentina peronista
non è ancora un «franco tiratore» dei gruppi armati più o meno
vincolati agli «Autentici», ma un militante inquadrato nel Partito
del Popolo Cubano «Ortodoxo». La «ortodoxia» nasce, per la
precisione, come scissione degli «Autentici» in opposizione alla
corruzione e all'abbandono dei princìpi nazionalisti-rivoluzionari da
parte del governo di San Martìn e Pìo Soccaras, e la gangsterizzazione
delittuosa delle sue frange armate. Le loro idee centrali sono «indipendenza
economica, libertà politica e giustizia sociale», (15) le tre parole
d'ordine del Movimento Giustizialista. È logico che il Partito «Ortodoxo»
sia il luogo naturale di militanza di peronisti quali Pardo Llada e
Fidel Castro.
Il
nuovo golpe di Fulgencio Batista, marzo '52, ha l'obiettivo
esplicito di impedire il trionfo elettorale del Partito «Ortodoxo»,
i cui militanti vengono perseguiti e di conseguenza obbligati alla
lotta armata. Il gruppo guidato da Fidel Castro che assaltò la
Caserma Moncada («Joventud del centenario» o «Movimiento») ha lo
scopo, come scrive Fidel al dirigente «ortodoxo» di Santiago Luis
Conte Aguero: «di porre l'ordine in mano agli ortodossi più
ferventi. Il nostro trionfo avrà la conseguenza dell'assunzione
immediata al potere della vera ortodossia anche se provvisoriamente.
Per il futuro deciderà il popolo mediante elezioni generali».
L'identità
ideologica con l'ortodossia permane anche dopo la fondazione del
Movimento "26 luglio". Nel documento redatto da Castro per
il Congresso del Partito «Ortodoxo», 16 agosto '55, si afferma: «Il
movimento "26 luglio" costituisce una tendenza all'interno
del Partito; essa è un apparato rivoluzionario adeguato per lottare
contro la dittatura, tale si è dimostrato quando l'ortodossia grazie
alle sue mille divisioni interne si è rivelata impotente (...)
un'ortodossia ai vertici della quale sono assurti latifondisti del
tipo di Fico Fernàndez Casas, zuccherieri dello stampo di Gerardo Velàquez,
speculatori borsistici, magnati dell'industria e del commercio, gli
avvocati dalle grandi fortune, potentati provinciali e politicastri
...». (16) Il 19 marzo '56 il Movimento 26 luglio rompe formalmente
con il Partito "Ortodoxo" ed entra in piena lotta
insurrezionale tentando di attirare a sé il maggior numero di
militanti dell'ortodossia: «come gruppo si sono convertiti
praticamente a satellite della causa castrista, seguendo le sue
direttive alla lettera. Erano convinti che il Movimento 26 luglio
fosse un ramo del loro partito e alcuni consideravano Castro come un
redentore intrepido che predicava l'atto eroico e questo dava loro un
immenso coraggio». (17) «Nuestra Razòn», manifesto-programma del
Movimento 26 luglio fu redatto nel '56 e i suoi punti cardine erano in
gran parte estrapolati dai princìpi dell'«Ortodoxia» (quindi dal
peronismo) come la «lotta per la sovranità politica, l'indipendenza
economica e la cultura differenziata, all'interno di una «visione
democratica, nazionalista e di giustizia sociale».
Peronismo
e Movimento Obrero cubano
L'influenza
del peronismo storico non solo è decisiva nelle organizzazioni
politiche del nazionalismo rivoluzionario pre-castrista. Ma in virtù
della dimensione continentale di cui erano impregnate le tematiche
nazionalproletarie e sindacaliste dell'Argentina peronista è logico
che esse abbiano prodotto un grande influsso sul movimento operaio di
tutta l'America latina.
Cuba
non è un eccezione e il suo Movimento Obrero è la prova lampante
delle convergenze esistenti tra il tercerismo rivoluzionario e il
nazionalismo antimperialista e socialista non-marxista del nascente
movimento dei Barbudos.
Il
2 novembre '52, a Città del Messico, rappresentanti delle
organizzazioni dei lavoratori di 19 paesi latino-americani convocati
dalla CGT argentina decidono di costituire una organizzazione di
lavoratori denominata ATLAS (Aggrupaciòn de Trabaiadores
Latinoamericanos Sindacalistas). Si tratta di una centrale operaia
continentale antimperialista opposta tanto allo pseudo sindacalismo
filo-statunitense della ORIT quanto all'irreggimentato sindacalismo
filo-sovietico della CTAL.
Alla
riunione costitutiva dell'ATLAS vi è l'intervento di un dirigente
sindacale cubano del settore trasporti, Pèrez Vidal. Questo militante
è stato esiliato da Battista e sarà uno dei futuri dirigenti
sindacali castristi; dalla sua fondazione occupa, nell'ATLAS, la
funzione di Segretario delle relazioni estere e nel '53 viene
designato transitoriamente quale segretario generale dell'organismo
continentale di ispirazione peronista.
Il
rapporto tra movimento operaio giustizialista argentino e movimento
operaio castrista cubano non ha nulla di occasionale ed effimero: lo
prova la fitta corrispondenza intercorsa tra dirigenti operai
castristi, già giunti al potere e il segretario generale dell'ATLAS,
l'argentino (e peronista) Juan Garone. È Pèrez Vidal, il 16 febbraio
'60, che sollecita l'invio di un delegato dell'ATLAS nel Caribe o
anche solo a Cuba, sottolineando che: «grazie alla Rivoluzione che
regge i destini delle nazioni, alla nostra testa vi è un grande leader
e un grande statista Fidel Castro Ruz; la nostra patria però ha un
posto marginale tra le nazioni libere del mondo. Esattamente come la
vostra patria quando innalzò le gloriose bandiere del Giustizialismo;
della indipendenza economica, della giustizia sociale, della sovranità
politica ...». Identico il sentire del dirigente operaio cubano Josè
Gayoso in una lettera inviata allo stesso Garone: «Il fine che il
governo cubano persegue è essenzialmente nazionale (...) Per ATLAS
credo sia conveniente che lei si rivolga al companero David
Salvador, segretario generale della CTC per discuter del fine pratico
della riorganizzazione dei rapporti tra noi e l'ATLAS (...) con uomini
che si nutrono degli ideali del Giustizialismo. (18)
Per
una migliore comprensione va chiarito che il citato David Salvador era
un ex-dirigente comunista che nel '47 aveva rotto con i filo-sovietici
per finire integrato nel castrismo del quale diresse, durante la
Rivoluzione, un braccio sindacale: Secciòn Obrera del M-26 de Julio;
più tardi conosciuta come Frente Obrero Nacional Unido (FONU).
Salvador dirige numerosi scioperi durante la resistenza alla dittatura
di Batista, concomitanti generalmente con azioni armate. Tra la presa
di potere castrista e il I Congresso nazionale della CTC (già
convertita in sindacato unico) la lista di David Salvador, sostenuta
dal Movimento 26 luglio, ottenne il 90% dei voti a fronte di un 5%
andato agli «Autenticos» e un altro 5% ai comunisti. Le pressioni su
Fidel, per una lista unica castrista-comunista è respinta e non per
un anticomunismo di destra ma perché, come riconosce un marxista
studioso della Rivoluzione cubana «durante la Rivoluzione il PSP
(filo sovietico) non vedeva di buon occhio il Frente Obrero Nacional,
fondato dai castristi e diretto da David Salvador, vecchio comunista,
il PSP gonfiava simultaneamente le tendenze anticomuniste presenti nel
M-26 e taceva sulle esaltazioni di sinistra della lotta armata (...)
non vi è un solo caso di partecipazione dei comunisti nella battaglia
del fronte urbano»; lo sciopero generale del 9 aprile '58 fu infatti
organizzato e diretto totalmente dal FONU.
Sintesi
Come
una Rivoluzione nazionale e «tercerista» strettamente imparentata
col peronismo storico si è potuta convertire in un sistema
marxista-leninista a partito unico? Di sicuro la Rivoluzione cubana
ancora il 2 dicembre '61 non può essere definita comunista ma
giustizialista! Questo affermavano i dirigenti cubani rispondendo alle
preoccupazioni statunitensi: «la nostra Rivoluzione non è né
capitalista né comunista». E lo stesso Fidel Castro, sul quotidiano
"Revoluciòn", affermava: «Di fronte alle ideologie che si
disputano l'egemonia mondiale sorge la Rivoluzione Cubana, con nuove
idee e nuovi contenuti. Non vogliamo essere confusi con i popoli che
si sono fatti abbindolare dal comunismo». Lo stesso Ernesto Che
Guevara affermava in un documento titolato «Bohemia» pubblicato il
14 giugno '59: «Si fuera comunista no dudarìa pregonarlo a voces».
Era
una Rivoluzione nazionale che solo l'embargo imposto dagli
Stati Uniti obbligò a radicalizzare le sue posizioni. Quando i
cubani, ad esempio decisero di importare petrolio russo, le tre
raffinerie gestite dalle multinazionali americane presenti a Cuba si
rifiutarono di raffinarlo. Come risposta Fidel Castro nazionalizza le
proprietà statunitensi e per rappresaglia gli USA sospendono
l'importazione dello zucchero. Castro contrattacca sospendendo le
relazioni diplomatiche ed ottenendo un primo credito sovietico e gli
Stati Uniti finanziano e organizzano lo sbarco di Bahìa Cochinos
(Baia dei Porci) nell'aprile '61. Solo a questo punto Fidel si
proclama marxista-leninista. Si tratta di una radicalizzazione in gran
parte provocata dagli USA come riconosce Ernesto Guevara in
un'intervista a L. Bergquit, "Look" novembre '61: «Eccezion
fatta per la nostra riforma agraria, che tutto il popolo reclamava,
tanto da iniziarla spontaneamente, tutte le iniziative radicali che
abbiamo adottato sono la risposta ad atti d'aggressione da parte dei
potenti monopoli del vostro paese (gli USA - N.d.T.) e dei suoi
massimi esponenti politici. Per sapere quale sarà il futuro di Cuba
bisogna prima chiedere al governo USA quali siano le sue intenzioni,
quali scelte ci verranno imposte».
La
strategia di appoggiarsi ai russi per non cedere ai ricatti yanquis
non è, comunque accettata dalla totalità del Movimento castrista.
Carlos Franqui distingue almeno quattro correnti interne: «i
filo-USA, che si confermano per una democratizzazione anti-Batista; i
nazionalisti democratici; una corrente proletario-rivoluzionaria
socialista ma non filo-sovietica (che comprendeva essenzialmente i
sindacati castristi) e, finalmente, la "piccolo-borghese"
autoritaria alleata dei comunisti che alla fine fu quella che si
affermò». (19)
I
simpatizzanti peronisti «nazionalisti democratici» e «socialisti
rivoluzionari» finirono in esilio (Pardo Llada e molti militanti «ortodoxos»)
o incarcerati (Salvador David e numerosi dirigenti sindacali); essi
non vollero scegliere tra «democrazia» USA e comunismo
filo-sovietico. Il definitivo passaggio della ex-Unione Sovietica nel
blocco imperialista occidentale ha portato al quasi totale isolamento
di Cuba -essa ormai conta solo sull'aiuto dei paesi latino-americani
meno compromessi con gli Stati Uniti- ripropone in tutto il suo vigore
la questione: potrà la Rivoluzione cubana sopravvivere con la propria
forza? Potrà il castrismo evolvere verso una forma di «terzerismo»
rivoluzionario che è parte importante delle sue caratteristiche
originarie? Se la storia e la libera volontà del popolo cubano
andranno in quella direzione la Grande Isola del Caribe sarà la prima
vera trincea dalla quale si combatterà per l'emancipazione
dell'America Latina e per un giustizia sociale rispettosa della libertà
e della dignità dell'uomo e, per questo, lontana tanto dal
capitalismo come dal comunismo.
Javier
Iglesias - Juan Carlos Benedetti
Traduzione
a cura di Stefano Greco
Note
1)
Rivista "Patria Obrera", 15/8/90;
2) "Fidel y e1 Che", Josè Pardo Llada, Plaza & Janès,
Madrid '88, pag. 115;
3) Pardo Llada pubblicò diversi testi per ATLAS nel '53;
4) Carlos Franqui, "Retrato de Familia con Fidel", Seix
Barral, Barcellona '81;
5) Cristiàn Buchrucket, "Nacionalismo y Peronismo", ed.
Sudamericana, Buenos Aires, '87
6) "Discurso a la Confederaciòn Argentina de Intelectuales",
pubblicato in Hechos e Ideas, agosto '50;
7) "Libro Negro de la Segunda Tiranìa", '58;
8) Germàn Sanchez Otero, "Los partidos polìticos burgueses en
Cuba neocolonial 1899-1952", Editoriale di Ciencias Sociales,
'85;
9) Francisco Lopez Segrera;
10) Fabio Grobatr, "El
movimiento Obrero cubano de 1925 a 1932", Revista della
Universidad de Oriente, Cuba '81;
11) Germàn Sanchez Otero, op. cit.;
12) K. S. Karol, "Los Guerrilleros en el Poder", Seix Barral,
Barcellona '72;
13) Antonio Cafiero, "Desde que Gritè «Viva Peròn»",
pequè, Buenos Aires '83;
14) Pardo Llada, op. cit.;
15) "Los partidos politicòs burgueses", cit.;
16) Eduardo "Eddy" Chibas era il fondatore del Partito
"Ortodoxo";
17) Mario Llenera, "La revoluciòn insospechada: origen e
desarollo del castrismo", EUDEBA, Buenos Aires, '81;
18) Per tutta la corrispondenza con ATLAS, CGT y ATLAS, Manuel Urriza,
ed. Legasa, Buenos Aires, '88;
19) Carlos Franqui, op. cit.
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