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IL
MENSILE DI MODENA
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CRONACA
Torino - Villaggio Olimpico 9 febbraio 2006
Care ragazze, Cari ragazzi, Cara Manuela,
sono felice di essere qui oggi, circondato da voi tutti, dal vostro affetto, dal
vostro entusiasmo.
Sono trascorsi cinquanta anni da quando l’Italia ospitò nel 1956 a Cortina
D’Ampezzo la sua prima Olimpiade invernale. Voi campioni della squadra azzurra
siete troppo giovani per ricordare quelle entusiasmanti giornate.
Fu a Cortina che per la prima volta nella storia dello sport una donna, Giuliana
Minuzzo, lesse il giuramento olimpico.
Giuliana fu anche la prima donna italiana a vincere una medaglia nelle Olimpiadi
invernali, conquistando il bronzo nel 1952 ad Oslo.
E’ stato solo l’inizio delle tante vittorie che ci hanno regalato negli anni
le nostre atlete, arricchendo il medagliere dell’Italia.
I Giochi Olimpici di Cortina segnarono un altro primato. Per la prima volta i
giochi vennero trasmessi in televisione.
Il mondo intero si entusiasmò di fronte all’eleganza dello slalom, alla
bellezza del pattinaggio sul ghiaccio, alle discese da brivido dei bob.
Da allora lo sport olimpico è entrato nelle nostre case, è divenuto momento di
condivisione, di incontro, di amicizia.
Grazie alla televisione viviamo con gli atleti le loro emozioni. Diveniamo
partecipi del loro impegno, delle loro storie, delle tradizioni, della cultura
degli Stati che rappresentano.
Le Olimpiadi sono un’occasione di comunione fra popoli di tutto il mondo in
una cornice di lealtà e di rispetto reciproco.
Lo percepiamo guardando sventolare le bandiere, quando sentiamo intonare gli
inni nazionali.
Le Olimpiadi, più di ogni altra manifestazione, hanno fatto emergere il valore
sociale e di integrazione dello sport: una grande opportunità per rinsaldare
valori come l’amicizia, la tolleranza, la solidarietà, la pace.
La pace ha sempre animato lo spirito delle Olimpiadi: i “giochi”
nell’antica Grecia erano in grado di fermare le guerre.
Oggi più che mai gli atleti di tutto il mondo devono testimoniare che la
convivenza pacifica non solo è possibile, ma è anche fonte di ricchezza e di
crescita per tutti.
Voi atlete e atleti siate portatori di questo messaggio!
Siate anche ambasciatori dell’amore per la montagna, del rispetto della natura
e del nostro prezioso patrimonio ambientale.
Custodirlo significa custodire la nostra identità nazionale, che si fonda anche
sulla bellezza di un paesaggio saldamente intrecciato con l’opera dell’uomo.
Domani circa due miliardi di persone assisteranno alla Cerimonia di apertura dei
XX Giochi Olimpici Invernali.
Le Alpi, cornice inimitabile della splendida città di Torino, faranno sfoggio
della loro maestosa bellezza.
Siete una squadra meravigliosa di 184 straordinari campioni! Avete lavorato sodo
per essere qui oggi.
E’ già questo un grandissimo risultato, una soddisfazione per ciascuno di
voi: essere partecipanti attivi delle Olimpiadi Invernali di Torino.
Tutte le specialità sono qui rappresentate: dalle più tradizionali, lo sci
alpino, il pattinaggio, l’hockey, il bob, il salto, alle più recenti, lo
snowboard, il freestyle! Tutti sappiamo quanto sia stata impegnativa la vostra
preparazione, quanti sacrifici ha richiesto a voi, ai vostri allenatori, alle
vostre famiglie!
Nei prossimi giorni dimostrerete la vostra tenacia e la vostra bravura.
La stessa tenacia e la stessa bravura sono certo che la dimostreranno le atlete
e gli atleti dei Giochi Paraolimpici che si svolgeranno a marzo. Sono ragazzi
straordinari diversi nelle loro abilità e proprio per questo animati da un
coraggio e da una forza che noi tutti ammiriamo.
Fatevi onore!
Fateci ancora sognare!
Fate onore all’Italia!
Viva l’Olimpiade!
Auguri a tutti voi!
Effedieffe
Conosciamo tutti Paolo Di Canio, e sappiamo che è
essenzialmente un generoso, un cavaliere all'antica.
E' ammissibile pensare che il suo «fascismo», come per molti (penso ai
cosiddetti «ragazzi di Salò», persone ben in là con gli anni e che mai
hanno rinnegato i loro ideali) non sia bieco razzismo genocida, ma amore di
una certa visione romantica, cavalleresca e anticonformista dell'esistenza,
basata sul senso dell'onore, del coraggio e della lealtà?
E perché dunque strepitare e stracciarsi le vesti ogni volta che fa il saluto
romano?
Alcuni non riescono a capire come molti, soprattutto giovani, possano sentirsi
fascisti e simpatizzare per quel regime, peraltro morto e sepolto da
sessant'anni (mentre il comunismo è ancora vivo e vegeto e in Cina miete
ancora le sue vittime).
Basterebbe leggere almeno uno dei libri di Carlo Mazzantini, o di Giano Accame,
o di Filippo Giannini, o di Enzo Erra (per esempio «Le radici del
fascismo»), una delle tante riviste dei reduci della RSI, uno qualsiasi
dei libri delle edizioni Settimo Sigillo, o magari «Quando l'Italia era
Italia - Conoscerla per rifarla» di Franco Monaco, che le stesse cose le
vien scrivendo settimanalmente su «Linea», che ospita pure i pezzi
ardenti di spirito giovanile dell'ottantaquattrenne Rutilio Sermonti: tutti
libri e riviste che, a rigor di logica, dovrebbero essere etichettati come
altrettante «apologie di fascismo».
Gli antifascisti parlano di «leggi razziali» e di «alleanza
coi nazisti sterminatori», dimenticando che le prime leggi razziali (divieto
di matrimoni misti) le fecero i «democraticissimi» Stati Uniti, nostri
padroni da sessant'anni e responsabili, oltre che del genocidio dei
pellerossa, di stragi ignorate, come quella dei bambini di Gorla, o note, come
quelle del bombardamento di Dresda, di Hiroshima e Nagasaki, di milione di
civili tedeschi lasciati morire, secondo lo storico James Bacque, di stenti a
guerra finita nei campi (vogliamo chiamarli di sterminio?) in Germania.
E che dire dei duecentodieci milioni di morti fatti dal comunismo in tutto il
mondo? (vedi Conquest, «Il costo umano del comunismo», Il Borghese,
1973).
Ma naturalmente il pugno chiuso non evoca quei morti, bensì «le lotte
operaie d'inizio Novecento».
E perchè allora, il saluto romano dovrebbe evocare solo stragi e non anche,
poniamo, l'Accademia d'Italia, le bonifiche, l'Opera Maternità e Infanzia,
l'IRI, le imprese sportive, le opere di civiltà in Africa, il prestigio
internazionale dell'Italia negli anni Trenta?
Franco Damiani