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POLITICA
Da IdeaAzione
L’onore perduto
della sinistra italiana
di Vittorio Mathieu
[12 gen 06]
Come devono fare i politici per raccogliere i molti soldi necessari al loro
lavoro? Filippo il Bello spogliava i Templari, accusati di tradimento, e faceva
decapitare il loro generale. Il re d’Inghilterra si faceva imprestare denaro
dai Bardi e dai Peruzzi e non lo restituiva portando le loro banche al
fallimento. In America qualcuno che può permetterselo paga di propria tasca la
sua presentazione alle primarie, ma viene regolarmente bocciato. In Italia, che
il Presidente del Consiglio sia il cittadino più ricco desta sospetti, anzi
indignazione.
Solo i regimi dell’Est che nelle lingue slave erano chiamati “popolari”
avevano metodi di finanziamento particolarissimi, grazie ai quali evitavano di
confondersi con regimi capitalistici. In Italia, però, fin dal primo momento il
Pci giudicò opportuno cambiar nome, proposi di lasciar ferma la sigla e di
leggerla “partito capitalista italiano”. Oggi, con la caduta dell’Urss,
anche le differenze di metodo sono cadute, e non c’è da meravigliarsi che gli
eredi del comunismo obbediscano alle regole (o, al più, trasgrediscano le
regole) del libero mercato.
La globalizzazione – invano deprecata dai nostalgici – comporta conseguenze
rilevanti, che forse potranno ripercuotersi sul risultato delle elezioni. A poco
a poco, però, penso che a destra come a sinistra l’assuefazione porterà
l’equilibrio. Dove, per contro, le conseguenze potrebbero persistere è nel
modo in cui i tribunali giudicheranno i fatti. Finché i metodi di finanziamento
dei comunisti differivano dai metodi capitalistici, i tribunali potevano
trattare questi diversamente da quelli: condannare gli uni e assolvere gli
altri. Ora, però, che i metodi non differiscono più la disparità di
trattamento che ha caratterizzato “Mani pulite” è difficile da conservare.
Questa penso sia la ragione di fondo dell’irritazione che sta manifestando, a
proposito delle “scalate”, una sinistra italiana in cui l’eredità – non
solo pecuniaria ma anche mentale – del comunismo è particolarmente forte.
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Lasciate
stare la Patria,
ché non è cosa per voi!
di Mario Consoli (tratto da "L'uomo libero")
Il presidente-banchiere Carlo Azeglio
Ciampi, l'uomo del Fondo Monetario Internazionale , della Banca
Mondiale , della Trilateral e della famigerata BRI di
Basilea, incaricato dal Mondialismo di fare buona guardia, non perde
tuttavia occasione per parlare di patria. Chiede in ogni circostanza che
si canti l'inno di Mameli e ha tirato fuori dall'armadio tricolori di
diverse qualità, persino il primo, quello strano, a rombi, della
Repubblica Cispadana.
Alleanza Nazionale, per celebrare il
decennale del Congresso di Fiuggi, ha riempito i muri delle città con
manifesti dove si legge: «Eravamo in pochi a chiamare Patria
l'Italia. Oggi siamo la maggioranza».
Dunque, dopo il danno, la beffa. Dopo
sessant'anni di distruzione sistematica di tutti i valori nazionali –
politici, culturali ed etnici –, dopo lo svilimento degli interessi
territoriali ed economici, dopo aver rinunciato a qualunque forma di
sovranità, dopo aver aperto le porte alla più grande invasione di
extracomunitari della storia, ci vengono a parlare di patria. Come fosse
una cipria da mettere alle baldracche per contrabbandarle da signore per
bene e portarle al gran ballo dell'alta società.
Sarà dunque il caso di chiarire bene il
significato del termine patria e, prima ancora, quello di politica,
giacché sono strettamente connessi e anche su questo si è creata molta
confusione.
Politica è quell'insieme di pensiero ed
azioni tesi a raggiungere un punto di equilibrio tra gli interessi
materiali e quelli culturali di un popolo. Se l'equilibrio raggiunto
riguarda effettivamente la gran parte della nazione, vuol dire che la
politica ha lavorato bene e ha perseguito gli interessi della patria.
Patria, letteralmente, significa terra di
un popolo, ma nella nostra cultura ha anche indicato la civiltà, le
tradizioni e la continuità tra passato e futuro che sono, oltre al
territorio, l' humus di cui necessita, per vivere e crescere, una
nazione.
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Patria vuol dire «bene comune», cioè qualcosa che,
per esistere, ha bisogno di chi coscientemente sente di appartenere a
quella comunità. In altre parole: non c'è un vero popolo che non abbia
una sua patria, ma non può esistere una patria se non c'è un popolo che
in essa crede.
E, in presenza di queste due entità complementari, il
valore dominante, quello per cui è degno vivere e si può anche morire,
è quello dell'indipendenza e della libertà.
La patria oggi, infatti, ce l'hanno i palestinesi e gli
iracheni, noi no. Gli italiani, a parte qualche ostinata minoranza che va
controcorrente, sono solo una massa spersonalizzata, internazionalizzata,
anonima e sempre facilmente condizionabile.
Hanno cominciato a distruggerci il senso di identità, e
quindi i valori patriottici, sessant'anni fa con la criminalizzazione del
nostro passato – un'operazione tutt'altro che ultimata – messa in atto
dai vincitori. Si cercò di creare negli sconfitti veri e propri complessi
di colpa e quindi di inferiorità.
L'individualismo, inoltre, diffuso a piene mani
dall'imperante ideologia democratica, ha ubriacato l'uomo, illudendolo di
conquistare, con la tutela dei propri egoismi e con il consumismo, spazi
di libertà prima mai sperati. Ma, per dirla con Niccolò Giani –
personaggio di cui ci occuperemo nelle pagine seguenti – « l'individuo
non può essere il fine della società, ma deve esserne il mezzo. Al di
sopra di lui c'è una verità più grande che lo compendia, quella che dal
passato, attraverso lui, si protende nel futuro. L'individuo muore ma la
patria vive eterna nei secoli ».
Sparita la patria, nel dopoguerra rimaneva pur sempre la
politica, tenuta in vita da quella generazione che si situò a cavallo tra
la fine del fascismo e l'inizio della repubblica. C'erano ancora
intelligenza, arguzia, idee e il gusto di diffonderle, di polemizzare, di
battersi.
Da ragazzo mi piaceva andare la domenica mattina – a
Roma dove vivevo – ad assistere ai comizi dei vari leader dei partiti:
Togliatti, Nenni, Fanfani, La Malfa, Saragat, Malagodi, Covelli,
Almirante, e poi Pacciardi, Berlinguer, Moro, Andreotti, Craxi. Raramente
riuscivo a condividere i concetti che da costoro ascoltavo, ma ciò
nonostante si trattava sempre di un interessante spettacolo che non poco
mi aiutò nella formazione culturale.
Essendo la politica in qualche modo ancora viva, c'era
in noi la speranza in una rinascita dei valori patriottici. A dispetto
della strategia dei partiti, ispirata soprattutto da interessi di fazione
e loschi giochi di potere, particolarmente negli ambienti di sinistra e in
quelli fascisti era fortissima la militanza disinteressata e
volontaristica. Fenomeno oggi completamente finito. Abbiamo assistito
infatti, nei tempi successivi, contemporaneamente al decadere del politico
e allo scomparire della figura del militante.
Decennio dopo decennio, oltre a quelli della patria,
sono stati annacquati, per poi farli evaporare, tutti i valori politici.
Il risultato è stato ovviamente – allontanando dalle istituzioni
rappresentative e dalle posizioni di comando le idee – quello di imporre
un nuovo tipo di uomo, con grande smania di carriera, ma ispirato solo
dalla cura dei propri interessi economici e dalla disponibilità a
favorire i poteri forti. Con la morte della politica, sparisce la residua
speranza di veder risorgere i valori della patria e con essi il bene del
popolo.
Di pari passo con i valori e le idee, decadono insomma
anche gli uomini. Provate a paragonare quanto a preparazione, fantasia e
quoziente d'intelligenza, un Fassino a un Togliatti, un Follini a un De
Gasperi, un Rutelli a un Craxi, o un La Russa a un Almirante.
Nell'emiciclo di Montecitorio discorsi vagamente
politici si possono, a sprazzi, forse ancora ascoltare da qualche
esponente di Rifondazione Comunista o, nonostante la mancanza di
un'adeguata formazione culturale, da qualche leghista. Per il resto,
nulla. Un tragico deserto delle idee contraddistingue i nuovi «politici».
Un amico, da oltre quarant'anni titolare di una libreria
antiquaria situata a Roma nei pressi di Palazzo Madama, aveva per clienti
un gran numero di senatori. Ebbene, mi dice che da vent'anni a questa
parte, ad ogni nuova leva elettorale, quel tipo di clientela è diminuito.
Oggi, i politici che entrano nella sua libreria si possono contare sulle
dita.
Anche esteticamente, nel modo di vestire, di muoversi,
di parlare, c'è sempre meno differenza tra un politico e un anonimo
bancario. Lo scontro, quando c'è, è personale, fatto di insulti, non di
idee: è espressione della volontà di scalzare l'avversario, non dal
desiderio di imporre al corso della storia, per il proprio popolo, una
concezione della vita diversa da un'altra.
Le direttrici politiche – se così le si possono
ancora definire – della destra e della sinistra sono andate via via
somigliandosi sino quasi a sovrapporsi.
Si pensi ad esempio alla partecipazione alla guerra
contro la Serbia del governo D'Alema e a quella contro l'Iraq del governo
Berlusconi; si pensi allo smantellamento dello stato sociale, iniziato con
i governi di sinistra e proseguito con quello di destra.
La stessa figura dell'attuale presidente del consiglio
è emblematica. Uomo di potere di ottimo livello – trasformarsi da
imprenditore edile e televisivo in leader della maggioranza di governo
presuppone notevoli qualità personali –, nonostante l'istrionismo e la
megalomania, non è riuscito sul piano politico a inventare alcunché:
scimmiotta ora la Thatcher, ora Reagan, ora Bush, ora addirittura McCarthy.
E tutto ciò, si badi bene, anche a scapito della propria ambizione,
giacché, per passare alla storia, non è sufficiente scalare le vette del
potere, ma è anche necessario percorrere nuovi itinerari politici, dare
il via a costruzioni istituzionali veramente innovatrici e impegnarsi
nella ricerca di equilibri internazionali più idonei ai tempi futuri.
In politica estera, ad esempio, riteniamo che Berlusconi
non abbia scelto la «sponda americana» per convinzione ideologica o per
un qualche progetto geopolitico o nazionale. Ha scelto questa strada perché
aveva bisogno, nella sua immaturità politica, di una «spalla forte»;
perché la sua preparazione era talmente scarsa da fargli credere ancora
valido il mito del «sogno americano»; perché era convinto che la via più
facile per conquistare e mantenere posizioni di potere fosse quella
dell'appiattimento sulle posizioni della superpotenza egemone, quali che
fossero; e perché non riusciva a immaginare altri itinerari percorribili
e nuove alleanze possibili con migliori e più durature prospettive per
l'Italia e l'Europa.
Mentre gli USA si preparavano ad aggredire l'Iraq e
tutto il mondo era percorso da un brivido antiamericano; mentre in Europa
si profilavano interessanti alleanze – ad esempio, con Francia e
Germania – e si aprivano possibilità di utili convergenze con la Russia
di Putin; mentre si manifestava una reale opportunità di intaccare il
monopolio del dollaro con un graduale utilizzo dell'euro negli scambi
internazionali, il governo italiano si limitava a presentarsi come
l'alleato di Bush più fedele, più scodinzolante, fingendo di non
accorgersi del guinzaglio sempre più corto che gli si stringeva al collo.
Aznar, autore in Ispagna degli stessi errori, è caduto
rovinosamente. In Italia Berlusconi resiste solo grazie alla politica
dell'opposizione, ancor più insulsa e insipida della sua.
Ad aggravare la situazione viene nominato nuovo ministro
degli esteri Gianfranco Fini, il più indecente tra i personaggi della
coalizione di maggioranza. Un tipo che, per favorire le proprie brame di
potere, nonostante il belletto patriottico con il quale si è recentemente
camuffato, ha rinnegato, in ogni sua parte, tutto il patrimonio politico e
culturale in cui si era formato e in nome del quale era stato eletto. Un
figuro che si è fatto promotore del voto agli immigrati. Prima di giurare
come ministro, Fini si è recato in Israele a chiedere la benedizione di
Ariel Sharon.
Insomma, con la decadenza della politica, oltre al senso
dell'onore, si è perso anche quello del ridicolo. C'è gente che si
comporta peggio di quei governanti-fantoccio delle repubbliche
sudamericane passati alla storia per il proprio servilismo ai desideri di
Washington.
Ecco cosa succede in un mondo dove oltre ai valori della
patria si è accettato di rinunciare all'intelligenza della politica. Sia
a destra che a sinistra, lo scenario è lo stesso. Solo storie di
ordinario carrierismo.
Sempre più uguali agli USA, dove si sfidano per la Casa
Bianca due miliardari, uno che fa finta di essere di destra, uno che fa
finta di essere di sinistra, tutti e due disponibili a ubbidire a quei
poteri forti che comandano veramente.
* * *
Dopo sessant'anni di americanizzazione e di perdita
dell'indipendenza nazionale, i valori della patria ci appaiono dunque
lontani, quasi un'immagine evanescente che emerge solo nell'abbandono
onirico. Eppure, così come sono esistiti i politici che sapevano
veramente fare politica, sono esistiti anche gli uomini della patria, ben
diversi dagli uomini delle fazioni.
Uomo di fazione era, ad esempio, quell'antifascista –
e ce ne sono stati tanti! – che, ben nascosto in un rifugio sicuro,
ascoltando il rombo dei motori dei bombardieri nemici che si avvicinavano
con il loro carico di distruzione e di morte, si fregava le mani,
intravedendo, in conseguenza di tanta carneficina, il crollo del regime
fascista e l'ascesa al potere della propria parte politica.
Uomo della patria fu, invece, Niccolò Giani, guida
della Scuola di Mistica fascista e direttore di Cronaca Prealpina .
Giornalista brillante – sotto la sua direzione il quotidiano di Varese
decuplicò la tiratura –, politico di rilievo – la sua attività alla
Scuola di Mistica lo pose in primo piano tra quei fascisti rivoluzionari
che svolgevano una pungente e coerente critica nei confronti del fascismo
regime –, Giani era un uomo soddisfatto anche nella vita privata: marito
innamorato e padre di tre bambini.
Tutto ciò nonostante, essendo l'Italia in guerra,
occorreva partire e combattere. Bisognava vincere – erano soliti
ripetere i fascisti rivoluzionari – e dopo la vittoria, tornare a
lavorare per pulire quel che c'era di sporco e raddrizzare quel che c'era
di storto. E Giani insistette molto, facendo valere tutte le sue
conoscenze, per essere tra i primi a partire ed essere destinato al
fronte, dove si combatte veramente.
Nel marzo del 1941 Giani si trovava sul fronte greco,
sulle montagne albanesi, col battaglione Bolzano dell'11° alpini. C'era
da conquistare la Punta Nord del Mali Scindeli. Era un punto strategico in
mano ai greci che con i mortai battevano continuamente le posizioni
italiane.
Giani è in testa a lanciar bombe a mano, a sparare e
incitare i suoi uomini. È il più determinato, il più veloce. È quello
che arriva più in alto. È colpito a morte a cinque metri dalla vetta con
in mano un'ultima bomba ancora da lanciare. « Vicino a lui non vi
erano altri caduti: erano tutti più in basso », ricorda il tenente
Piero Mascheroni che gli fu accanto sino all'ultimo.
Niccolò Giani, primo dei quattro «mistici del fascismo»
decorati con la medaglia d'oro alla memoria, non morì per convenienza
sua, o della sua fazione, ma per la patria, il che vuol dire per tutto il
popolo, con tutti i suoi cittadini, compresi quegli antifascisti che si
fregavano le mani sentendo arrivare sulle nostre città i bombardieri
angloamericani.
Per ringraziamento, la vedova di Giani, a guerra finita,
fu portata davanti alla Corte d'Assise di Varese. Il reato contestatole
era quello di aver pronunciato, alla radio, un discorso di adesione alla
RSI. Venne condannata a tre anni, sette mesi e otto giorni di prigione,
nel silenzio incredulo del pubblico e tra i singhiozzi dei parenti.
Ecco la differenza tra un uomo della patria e un uomo di
fazione. Tra gli scritti del giornalista è stata trovata una lettera al
figlio: « Ricordati che per la patria io forse non ti conoscerò mai.
Ma se anche così fosse, amala anche per me, sacrificati anche per me,
muori anche per me ».
Gli esponenti di spicco del fascismo rivoluzionario
erano numerosi, e numerosi caddero eroicamente in combattimento. Berto
Ricci, fondatore e direttore de L'Universale, tra i più intransigenti
antiamericani (« Chicago, la capitale del maiale... »), morì a
Bir Gandula.
Guido Pallotta – vicesegretario nazionale dei GUF,
giornalista della Gazzetta del Popolo , fondatore e direttore di Vent'anni
– cadde valorosamente nel deserto di Sidi el-Barrani. Vent'anni
fu un foglio entuasiasta e beffardo, più volte sequestrato per gli
attacchi portati ai gerarchi «cumulisti» . Lo stesso Mussolini dovette
intervenire su queste vicende, persino in una riunione del Gran Consiglio:
« Sono giovani irrequieti e scontenti di come vanno le cose e,
diciamo la verità, non è che le cose vadano poi tanto bene. Hanno il
diritto di parlare.. .».
Alberto Bairati, un redattore del giornale di Pallotta,
così si espresse, negli anni successivi, ricostruendo l'atmosfera di quel
periodo: « Per noi il fascismo doveva essere un qualcosa che rendesse
gli uomini migliori, più puri, più onesti, più generosi, che li facesse
mettere a disposizione del Paese ».
Pallotta, da solo, assalì un carro armato inglese con
bombe a mano, cercando di infilarle nelle feritoie del mezzo. Un'altra
medaglia d'oro alla memoria.
Nel corso della sua relazione al Convegno di Mistica
Fascista del febbraio 1940, affermò: « Chi intende misticamente la
rivoluzione non può non esser preparato a morire per essa, perché vi è
un solo modo di essere mistici quando la patria chiede sangue: offrirlo ».
Una settimana prima di cadere scriveva ai genitori: « Io
sto sempre in ottima salute, e ne ringrazio il Cielo, perché essere
rimpatriato per malattia sarebbe il mio più grande dolore ».
Scrisse, dopo aver ricevuto la notizia di queste
perdite, quel grande uomo e giornalista che fu Giorgio Pini: « Di
fronte a questi annunci si sente il pudore di essere vivi ».
Non fu, invece, un uomo della patria Ruggero Zangrandi,
che partì anch'egli dalle posizioni del fascismo rivoluzionario, ma, non
riuscendo a coniugare i contenuti socialisti con quelli nazionali – con
il valore della patria –, entrò in un vortice intellettuale che lo
condusse ad abbracciare posizioni comuniste e antinazionali.
Anche questa è una storia molto istruttiva.
Compagno di banco di Vittorio Mussolini, fu
frequentatore di Villa Torlonia, dove ebbe modo di incontrare e discutere
di cultura e politica con lo stesso Duce. Negli anni del liceo fondò e
diresse, assieme all'amico Vittorio, alcuni fogli giovanili: Penna dei
ragazzi, Anno XII, Anno XIII . Divenne così brillante giornalista e,
anche grazie alle sue speciali amicizie, ebbe aperte le porte de Il
Popolo d'Italia e riuscì a farsi finanziare dal Ministero della
Cultura popolare un'agenzia – l'AGI, Agenzia Giornalistica Italiana –
incaricata di elaborare articoli destinati alle terze pagine dei
quotidiani italiani.
Questi fondi servirono a Zangrandi, oltre a risolvere i
problemi economici suoi e dei suoi collaboratori, anche a garantirgli una
struttura operativa disponibile a quello che sempre più prepotentemente
gli si prospettava come il nuovo obbiettivo politico da perseguire. Fu così
che – con i denari del regime – prese vita la formazione clandestina
denominata Partito Socialista Rivoluzionario e, una volta
imboccata la strada dell'internazionalismo, Zangrandi giunse a operare
contro gli stessi interessi del suo popolo. In piena guerra, ebbe contatti
con agenti dei servizi segreti sovietici. Quando lo arrestarono, mentre si
recava ad uno di questi appuntamenti, aveva in tasca – lui sostenne per
pura combinazione – fogli con notizie sui piani militari italiani.
Era perfettamente entrato nei panni dell'uomo di fazione
che, per il suo vantaggio politico, è disponibile a schierarsi contro i
propri concittadini. « Non contesto che possiate fucilarmi per aver
tentato di predisporre questi legami con un Paese aggredito dal fascismo
allo scopo di abbattere il fascismo », affermò Zangrandi durante il
suo interrogatorio a Regina Coeli, « Se avessi potuto combattere
contro la guerra fascista facendo dello spionaggio, non mi considererei
infamato. Stimo di più la spia che ha fatto affondare la flotta a
Taranto, se non lo ha fatto per denaro, che non gli antifascisti che si
trovano nelle celle segnalate con la sigla U.P. [usciranno presto] e che
sono trattati benissimo anche dai secondini, perché sanno che se la
caveranno ».
Insomma, mentre gli uomini della patria morivano, col
sorriso sulle labbra, per difendere il proprio popolo, quelli di parte, i
rivoluzionari senza patria, tradivano, sabotavano, si facevano complici
del nemico.
Ruggero Zangrandi aveva conosciuto bene i Giani, i
Pallotta, i Ricci e, come tutti quelli che li avevano conosciuti, non
poteva che stimarli e rispettarli. Per risolvere allora questa
contraddizione – tra le proprie scelte e la considerazione che provava
verso chi aveva imboccato strade opposte alla sua – elaborò una teoria:
questi personaggi sarebbero stati veramente dei rivoluzionari e avrebbero
creduto in buona fede nel fascismo come strumento della propria rivolta,
ma, una volta scontratisi con la realtà del regime, delusi, avrebbero
optato per la morte eroica, come forma di suicidio.
Nulla di più sbagliato. Giani non vedeva l'ora di
tornare a Varese, alla sua scrivania di lavoro, e di ricongiungersi alla
famiglia. Nella corrispondenza di Pallotta dal fronte ricorrono spesso
frasi relative a progetti da portare avanti, a questioni politiche da
risolvere, a guerra finita. Rispondendo a una lettera di Mezzasoma
scriveva: « Tornare al mio antico lavoro a Torino sarà per me la
soluzione più bella ». Berto Ricci era un vulcano di idee ed era
pervaso da una voglia irrefrenabile di diffonderle.
Altro che suicidio! Zangrandi sbagliava perché,
nonostante la sua intelligenza e le sue privilegiate frequentazioni, non
aveva colto l'essenza del fascismo e si era perso nei meandri
dell'internazionalismo, percorrendo un itinerario opposto a quello di
Nicola Bombacci che, tra i fondatori del Partito Comunista (1921),
comprese poi l'impossibilità di realizzare una rivoluzione socialista
senza inserirla nell'alveo dei valori nazionali; aderì al fascismo e morì,
assieme a Mussolini, nell'epilogo della Repubblica Sociale Italiana.
Zangrandi pagò duramente questo suo percorso
intellettuale e politico: fu accusato dai fascisti – a buon titolo –
di tradimento e non fu mai bene accolto dai comunisti, che lo
considerarono sempre un ex fascista. Fu molto apprezzato e coccolato solo
da Palmiro Togliatti, quella bella figura di italiano che voleva dare
Trieste e Gorizia ai comunisti slavi e parteggiava per gli aguzzini
dell'Armata Rossa che facevano morire di stenti migliaia e migliaia di
italiani prigionieri.
Lo scorso dicembre, nell'àmbito di un convegno svoltosi
a Roma, il presidente «patriottico» Carlo Azeglio Ciampi ha definito
Togliatti « un grande della Repubblica » e ne ha tessuto le
lodi. Con ciò ha perso, ancora una volta, un'ottima occasione per tacere
e nascondere così la propria incapacità a comprendere certi valori e a
individuare i veri interessi del popolo italiano.
* * *
Ma torniamo ai nostri giorni, al deserto delle idee,
alla latitanza della politica, all'oblio dei valori della patria. Le
conseguenze di questo nostro miserando status sono irrefrenabili e
devastanti.
La perdita di indipendenza abitua al servilismo e
condanna ad essere succubi di altre nazioni. La mancanza di circolazione
di idee blocca la fantasia dei giovani e i naturali – ahimè non più
ricorrenti – sogni di rinnovamento. La paralisi della politica impedisce
la ricerca del bene del popolo.
Si tratta di una spirale perversa che potrebbe condurre
all'estinzione della nostra gente, travolta da una peste ideologica e da
un'immigrazione selvaggia. Europa, terra di decadenza e di invasione
etnica. La nostra millenaria civiltà ridotta solo a riempire, nei secoli
a venire, i libri di testo per i futuri studenti, che saranno giovani di
altri popoli?
Oppure qualcosa di diverso potrebbe accadere. Prima o
poi, qualcuno potrebbe ricominciare a parlare di idee e a praticare la
vera politica. Gli europei potrebbero riscoprire il concetto di bene
comune – la vera patria – ed anche il modo di perseguirlo.
Certo, anche questo potrebbe accadere...
Mario Consoli
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“Non
più credibile la favola sulla diversità morale dei DS” |
La presa di posizione del coordinatore nazionale di
Forza Italia Sandro Bondi: “E’ venuto il momento anche per i Ds di
fornire qualche spiegazione all'opinione pubblica ed ai propri elettori. O
è sempre colpa del Greganti di turno?”.
(www.dilloadalice.it n.86 del 04/01/2006)
Evidentemente, e' difficile per Vannino Chiti abbassare la cresta del
moralismo e del disprezzo per gli avversari.
Bene: e' venuto il momento pero' anche per i Ds di fornire qualche
spiegazione chiara ed esauriente all'opinione pubblica ed ai propri
elettori, che non credono piu' alla favola della diversita' morale e
neppure che tutte le colpe si possano addossare ai Greganti di turno'.
Vannino Chiti interviene oggi per difendere i Ds nella vicenda Unipol/Consorte,
ammettendo che il partito di Fassino si sarebbe limitato a 'fare il
tifo' per la scalata delle cooperative su BNL, senza pero' aver mai
interferito. Aggiungendo che da lui, Chiti, aveva per tempo chiesto le
dimissioni di Consorte. A prescindere per il momento dalle accuse
rivolte al presidente di Confindustria alla Margherita (che qualche
giorno fa Violante aveva accusato di rapporti noti con i vertici della
Bnl) e a Rifondazione Comunista, l'intervento del Coordinatore della
Quercia merita almeno tre considerazioni.
Primo: Chiti e' politico abbastanza navigato per sapere che quando il
segretario del principale partito della sinistra pubblicamente 'tifa'
per qualcuno e qualcosa, lancia un messaggio chiaro a quanti abbiano la
volonta' e la possibilita' di assecondare la sua manifesta volonta'.
Secondo: solo qualche anno fa, o anche oggi, nel caso i coinvolti
fossero del centrodestra, di fronte ad un caso di questo tipo, e a
quanto sta emergendo, Chiti non si sarebbe limitato a chiedere le
dimissioni di Consorte, ma di tutti i politici che con lui avessero
avuto qualche relazione rispetto alla scalata su BNL.
Apprezziamo senza ironia la svolta ipergarantista di Chiti, e ci
auguriamo che da oggi valga per tutti.
Terzo Chiti sostiene che 'nelle coop non possono valere gli stessi
valori di Berlusconi.
coordinatore nazionale di Forza Italia
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La
"Rosa nel Pugno" o esplode subito, o implode |
(www.dilloadalice.it n.86 del 04/01/2006)
La “Rosa nel Pugno”, o subito torna a esplodere, deflagrare,
dalla e nella sinistra, o è destinata a brevissimo termine a implodere
e subalternizzarsi quale ultima appendice e vittima del monopartitismo
imperfetto, dell'oligarchia partitocratica e mafiosa, in uno Stato
impotente e quindi violento, negatore delle sue proprie leggi, dal suo
vertice alle sue basi populiste, clientelari, già fasciste, comuniste,
ateo-clericali.
La “Rosa nel pugno” era, può ancora essere forza adeguata di
governo forte e fecondo della e per l'alternativa edificatasi nel corso
tragico del XX secolo, nell'incendio distruttore di civiltà e progresso
umano, ad opera di generazioni radicalmente credenti e testimoni
nell'alternativa di giustizia e di libertà politiche, brace tuttora
viva sotto la cenere della sterpaglia delle tragiche illusioni
totalizzanti dei monopartitismi perfetti o imperfetti, ma egualmente
antidemocratici e antilaici, antipopolari, antiliberali, antiumanisti.
Occorre che immediatamente la Rosa nel pugno si proponga con la
nobiltà e la forza di grande antica e nuova ambizione riformatrice, in
luogo dei vecchi riformismi e rivoluzionarismi, perdenti e velleitari,
che - uniti - vivono la fase delle putrefazioni in cui crollano ormai le
loro ossificate strutture.
La Rosa nel pugno ha rapidissimamente da proporre e proporsi come
erede viva e consapevole della Italia e della Europa radicalmente
credenti, laiche, socialiste, liberali, democratiche.
Ma nulla potrà esser fatto se, in queste ore, in questi giorni, in
ogni modo, con “doppie”, “triplici”, uniche “tessere”, i
mille e mille rivoli di storie e speranze e obiettivi altri di quelli
formalmente dominanti Stato e parastato oligarchici, partitocratici, non
accorreranno a rafforzare in vista delle prossime elezioni,
eventualmente per questa sola scadenza, la “Rosa nel pugno”, luogo
straordinario di possibile incontro e unità e successo di quella grande
maggioranza di italiani già delusi, scorati, rassegnati, esclusi dal
cimitero di speranze di questi decenni italiani, e dal micidiale
pericolo che coinvolge in questo ultimo decennio la stessa Europa.
La “Rosa nel pugno” se entro 4-5 settimane non raggiungesse e
stabilizzasse almeno il 5% delle previsioni di voto, si troverebbe
nuovamente corresponsabile, complice, di una prova elettorale
antidemocratica, anticostituzionale, dell'Italia negatrice di
diritto,diritti, e soprattutto di legalità e di legittimità.
Se il miracolo laico del manifestarsi e del riproporsi convinto,
entusiasta, di tanti, dei troppi, invece rassegnati al silenzio,
all'irrilevanza, alla forse conclusiva sconfitta laica, liberale,
socialista, democratica - in una parola anche radicale -, se questo non
accadesse subito ad opera delle generazioni di Salvemini, Ernesto Rossi,
Einaudi, Silone, Terracini, Sciascia, a quelle per ora raggiunte
solamente - parrebbe - dai Vasco Rossi, dai Fabrizio De Andrè, da
Franco Battiato, da Francesco Guccini fino ai Max Pezzali, per
“legalizzarla”, l'Italia, per la nonviolenza, la libertà, l'amore
che concepisce la vita, anziché animalmente “procrearla”, produrla,
lo ripeto senza questo miracolo non ce la faremo, e per molti, per me,
sarebbe doveroso - e non solo legittimo - prendere atto coerente di una
sconfitta in Italia a lungo conclusiva, non riparabile.
La Rosa nel pugno ha il dovere di essere coerente: è condizione
necessaria per non consentire che anche il centro-sinistra come il
centro-destra sia maceria del passato anziché annuncio dell'avvenire,
prefigurazione di una speranza umana che si realizza e si umanizza.
E' alternativa interna, oltre che per tutti, alla sconfitta, al
disastro, o già elettorale o immediatamente successivo.
Diciamo a tutti quelli che potranno ascoltarci: o la scegli o la
sciogli.
Auguri, con amore, con amore del possibile, contro un probabile che
l'Italia sembra tornare a vivere (e morirci) come ineluttabile.
Un ultimo avviso, me lo si consenta: l'Italia di Loris Fortuna, di
Tony Blair, di Zapatero; l'Italia di Loris Fortuna - lo ripeto - è
stata quella di radicale alternativa a quelle dominanti; trionfante
allora. Trionfante, se affermata, continuata, riproposta più che mai
oggi.
Siamo opportunità reale di rivoluzione innanzitutto sociale e
istituzionale, contro poteri “istituzionali” e “sociali”
collocati nella propria autodifesa conservatrice, oligarchica.
Se qualcuno volesse onorarmi con un attimo di fiducia, lo faccia. Ne
ho umilmente anche bisogno, non solo necessità. Mi risponda, scrivendo
a questo indirizzo: m.pannella@radicali.it .
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La nipote del Duce: non ne faranno
parte neppure Tilgher e Fiore. «Non contano le persone ma i
valori. Mandiamo avanti le idee»
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ROMA
- Alessandra Mussolini fa «un passo indietro» e a
sorpresa annuncia che ci sarà una lista di Alternativa sociale
ma che né lei né Tilgher e né Fiore ne faranno parte. «Non
contano le persone, ma i valori - ha detto la nipote del duce -
Conta la presenza di un movimento come il nostro che è anti
sinistra e di destra sociale. Abbiamo preso una decisione
unitaria - ha detto ancora la Mussolini -: nella lista di
Alternativa Sociale non ci saranno i nostri nomi, preferiamo
mandare avanti i nostri programmi e le nostre idee. Abbiamo
ricevuto attacchi personali, antipatici perchè ad
personam e non sui nostri programmi. Abbiamo comunque
prospettato il nostro programma alla Cdl che verrà esaminato».
La parola su un eventuale partecipazione di Alternativa sociale
alla coalizione di centrodestra passa ora a Berlusconi, ma i
responsabili del partito non hanno dubbi: sarà positiva. «Il
Cavaliere - dicono - è uno di parola». E oltretutto in una
situazione come quella delineata dai sondaggi, che danno i due
poli alla pari o con uno scarto di pochi punti percentuali,
anche i voti che possono essere portati dalle formazioni di
estrema destra rischiano di essere determinanti.
LE
RICHIESTE - Nella Cdl si erano levate non poche
perplessità sull'eventuale allargamento della coalizione ad una
forza politica che avrebbe potuto presentare personaggi definiti
«discutibili». Berlusconi aveva fatto sapere che la coalizione
avrebbe trattato direttamente con Alessandra Mussolini e avrebbe
invitato la pasionaria di As, fuoriuscita da An dopo la presa di
posizione contro il «fascismo male assoluto» di Gianfranco
Fini, a garantire la presentazione di personaggi dalla
reputazione inequivocabile. Oggi la risposta: né Tilgher né
Fiore, entrambi con precedenti per reati ideologici, saranno
candidati. Ma ad essi si aggiunge la Mussolini, che si
autoesclude per evitare di dare agli avversari ulterio appigli
per attaccare la Cdl.
16 febbraio 2006
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Chi
è vissuto all'ombra del regime rosso non sa cos'è la libertà |
(www.dilloadalice.it n.92 del 15/02/2006)
Cara Alice,
è evidente che alla sinistra dell'Emilia-Romagna, con in testa il
presidente Errani e gli amici delle Coop, la verità fa male. Abituati a
parlare in politichese spinto, sono spaventati dalla chiarezza delle
parole del Presidente Berlusconi.
Parole che dicono la verità e che tutti capiscono, soprattutto in
una regione dove chi vuole intraprendere un'attività o costruire
qualcosa ben conosce le 'regole' della sinistra cui bisogna sottostare.
Errani non conosce la parola libertà, perché ha sempre vissuto
all'ombra del 'regime rosso'.
La sinistra è spaventata dai fatti emersi di recente sugli intrecci
Unipol e Coop e teme certamente altri terremoti. Noi da anni puntiamo il
dito sull'anomalia dell'Emilia-Romagna, dove i grandi appalti pubblici
nei campi dell'edilizia e dei servizi sono sistematicamente affidati ai
soliti colossi della cooperazione 'rossa'. L'intreccio fra
Amministrazioni di sinistra, appalti e cooperative ha creato in questa
regione un monopolio, dove i finanziamenti pubblici seguono sempre gli
stessi canali.
Non parliamo poi dei copiosi finanziamenti statali a pie' di lista di
cui la sinistra al potere ha potuto allegramente beneficiare negli anni
dei governi della gestione allegra dei conti pubblici, che hanno creato
la voragine debitoria che ci grava sulle spalle. Ma oggi l'Emilia-Romagna
è in recessione. Non lo diciamo noi, ma le stesse categorie economiche
che a più riprese hanno invitato la Regione ad essere più progettuale
e propositiva ed hanno avuto come unica risposta un immobilismo
desolante.
Tutti sanno come vanno qui le cose: nessuno che abbia a che fare con
le Amministrazioni pubbliche di sinistra osa criticare apertamente il 'regime',
perché altrimenti può dire addio a permessi e contributi.
E questa per Errani è libertà'?”
Coordinatore Forza Italia Emilia-Romagna
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Due ali e un pollo
(da Rinascita - quotidiano di liberazione Nazionale
Non ci resta che ridere.
I due poli liberaldemocratici, finalmente, hanno qualcosa di concreto di cui
occuparsi, qualcosa da denunciare come scandalo, qualcosa che li divide
profondamente...: demonizzare le loro aree estreme, quella neofascista che il
centrodestra intendeva aggregare a sé e quella comunista-trotzkista che il
centrosinistra aveva già aggregato al suo interno.
Dopo aver affogato i cittadini italiani a ondate di pseudo-conflitti sul sesso
degli angeli, dopo aver tracciato impossibili distinguo sulle differenze tra i
due schieramenti, ambedue liberalcapitaliste, ambedue prone al dominio
atlantico, dopo aver rappresentato ai sudditi-elettori le improbabili minime
varianti scritte nei propri programmi di occupazione del potere, ecco dunque i
Lorsignori azzuffarsi e lagnarsi, in casa e fuori casa, per la contestata
presenza dei vari Luxuria, Caruso, Ferrando, Mussolini, Tilgher, Fiore, Rauti,
Romagnoli e compagnia nelle rispettive liste.
La caccia all’ultimo voto, all’ultimo strapuntino di potere, peraltro, gioca
sempre dei brutti scherzi. Succede ai cascami della falsa sinistra
“democratica”, “illuminata” e radical chic e succede ai nuovi corifei
della destra “democratica” e “illuminata”.
Tanto chi ci rimette è come di consueto il popolo italiano, che, invece di
ottenere risposte sul proprio presente e sul proprio futuro, diventa spettatore
di disfide di burletta a proprio esclusivo danno.
D’altra parte è quello che si merita una nazione occupata e resa suddita che,
trascorsi sessantun anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, dalla
sconfitta del fascismo, e diciassette anni dall’implosione del comunismo, si
fa prendere senza tregua per i fondelli da chi - sulla tragica guerra civile tra
italiani, proseguita con violenti colpi di coda fino agli anni di piombo - ha
costruito il proprio vergognoso orto di clientele e di potere.
Per amor di verità, tuttavia, è per noi essenziale sottolineare che i Ferrando
e i Mussolini, che i Caruso e i Rauti, questi più recenti schiaffi se li sono
proprio cercati.
Cosa, infatti, ci stanno a fare in schieramenti a loro ostili, come possono
spiegare le loro scelte liberaldemocratiche di sinistra o di destra, un
“disobbediente” comunista, un vetero trotzkista, una pasionaria
neo-fascista, un ex combattente della Rsi?
E, lasciando da parte queste etichette, come possono convivere tutti loro, (che
almeno un paio di minimi denominatori, quello della giustizia sociale, quello
della critica all’arroganza planetaria atlantica, sembrano essere fra loro
condivisi), con chi - Berlusconi o Prodi, Fini e D’Alema, non importa - è
ascaro degli atlantici, con chi fa strame della giustizia sociale in nome del
dio mercato?
Non c’è scampo: i casi sono due. O queste “ali” si sentono tanto dei
Machiavelli da non rendersi conto di essere degli inutili vasi di coccio
usa-e-getta, o queste “ali” non sono “ali” ma fanno parte dell’intero
pollo liberaldemocratico.
Non ci resta che ridere.
u.g.
ALTERNATIVA SOCIALE
La
Lista ALESSANDRA MUSSOLINI – LIBERTÀ DI AZIONE per le elezioni europee
presenta insieme alle altre forze del cartello ALTERNATIVA SOCIALE un
progetto frutto della sintesi di un comune sentire e della esperienza di una
comunità di donne e uomini, che ha il fine di proporre un obiettivo alto e
storico: quello della affermazione di un modello politico che avvii un profondo
cambiamento della nostra società, capace di riassumere in sé modernità e
tradizione, razionalità ed ideali.
L’Europa è da sempre sintesi di ambizioni e di sogni: è il continente in cui
milioni di donne e uomini, a fronte della attuale crisi internazionale,
sentendosi gli eredi di una civiltà senza eguali sulla terra, hanno il
desiderio di tornare ad essere il centro del mondo.
A Roma si definì "toto orbe pace composito" quel momento di storia,
misterioso, ma reale, in cui il mondo conosciuto, retto da un ordine civile mai
visto sino ad allora, diede pace, giustizia, ordine e libertà.
A noi europei spetta il compito di ripetere quel miracolo politico e di civiltà,
non per mera nostalgia ma perché rappresenta la via maestra per dare ai nostri
figli un continente che abbia un futuro.
Confini culturali e filosofici dell’Europa
L’assurdo tentativo di allargare l’Europa - come se fosse un solo mercato -
a Paesi extraeuropei impone di ridefinire i confini del nostro continente.
Sono la cultura e la storia di 3000 anni a richiamarci alla memoria senza ombra
di dubbio i contesti europei netti e chiari. Questi limiti comprendono la parte
europea della Russia, arrivano allo stretto dei Dardanelli ed escludono, già
naturalmente e geograficamente la Turchia, la cui presenza nel consesso europeo,
richiesta ad alta voce dal mondo finanziario, avrebbe effetti laceranti.
Infatti, con l’ingresso della Turchia snaturerebbe senza alcun valido motivo
l’omogeneità culturale e spirituale sia della Turchia stessa che del nostro
continente poiché, grazie agli accordi di Schengen, avrebbero immediato accesso
e possibilità di lavoro in Europa i turcofoni mussulmani, di cittadinanza
turca.
A nostro modo di vedere, va invece favorito l’ingresso di tutti quei Paesi di
chiara radice cristiana ed europea che si affacciano alle porte dell’Europa e
che rappresentano storicamente il polmone orientale della nostra Civiltà
europea.
L’essenza
dell’Europa che immaginiamo è simbolicamente:
greca, per il suo modo di pensare;
romana, per i suoi parametri di giustizia e di senso civico;
cristiana, nei valori che la formano e la motivano.
Queste radici filosofiche e culturali hanno segnato le strade e gli angoli delle
nostre città, le culture nazionali, l’incredibile produzione artistica ma,
soprattutto, il carattere degli europei, che ha permesso di costruire un ordine
sociale comunitario di istituzioni democratiche e di rapporti basati sul
rispetto delle culture e delle identità nazionali.
Questo patrimonio di umanità contrasta fortemente con il tentativo di costruire
una Europa senza anima, che diventerebbe facile conquista anche del
fondamentalismo islamico, minaccia vera e reale in terra d’Europa sia per il
terrorismo che per il processo di relazioni internazionali con i Paesi arabi
moderati.
Modelli
istituzionale e di difesa
Il modello istituzionale è quello di una Europa Nazione, fondata su una
confederazione di Stati nazionali , liberi e sovrani.
A questo progetto devono partecipare anche la Russia e i Paesi dell’est
europeo, ma solo con chiare garanzie sulla loro stabilità politico-economica.
Ciò serve a rafforzare il ruolo geopolitico dell’Europa e dell’Italia e la
loro proiezione sul Mar Mediterraneo, sull’Africa e sull’Est europeo. In ciò
la politica estera europea deve essere in grado di prendere iniziative primarie
nei confronti dell’unilateralismo americano, che ha portato alla sciagurata
guerra in Iraq.
Una guerra nella quale l’Italia – anzi, i militari italiani - ha fatto la
parte della portatrice d’acqua dei soli interessi economici e geopolitici
degli Stati Uniti ed ha rinunciato ad ogni iniziativa di carattere diplomatico.
Per costruire un nuovo modello di difesa, libero dalla schiavitù della NATO
(divenuta ormai uno strumento dell’America e non della comunità
internazionale), occorre creare da subito una forza armata europea all’altezza
delle esigenze della difesa del territorio e di quella collegata alla naturale e
storica funzione europea di potenza pacificatrice.
Immigrazione
Il tema della immigrazione è stato nel tempo affrontato con sistemi insensati:
dapprima, con una logica astratta e buonista; successivamente, con veti tampone
che hanno trasformato una situazione già difficile in una tragedia dalla
soluzione sempre più incerta.
Noi riteniamo che non esista l’ineluttabilità dei flussi migratori; infatti,
un conto sono i normali scambi economico-culturali e i flussi di lavoratori
conseguenti, altro è un fenomeno incontrollabile perché consapevolmente non
controllato.
Questo fenomeno ha le proprie radici nella esplosione della crisi del terzo
mondo, dovuto all’ulteriore impoverimento delle popolazioni conseguente ai
seguenti fattori:
le continue guerre tribali particolarmente cruente
la lievitazione del debito dei Paesi poveri contratto con le banche e con i
Paesi sviluppati
l’assenza o il decadimento delle infrastrutture sociali ed economiche
Mentre
la soluzione dell’immigrazione dall’est arriverà con la completa
maturazione dei processi di democraticizzazione dei Paesi dell’Europa
orientale e con lo sviluppo determinato dalla adesione all’Unione europea,
maggiori preoccupazioni desta la mancanza di progettualità dei Governi ai fini
della soluzione dell’immigrazione dal sud del mondo, cioè dal continente
africano.
La soluzione che si ritiene idonea a superare l’attuale falso solidarismo è
quella che vede l’Europa impegnata in un piano di salvezza per i popoli
africani, capace di coprire tutti i settori economici e sociali attraverso:
la
cancellazione dei debiti dei Paesi in via di sviluppo
la
concreta attuazione di piani per l’aiuto all’infanzia, per la
alfabetizzazione delle popolazioni, per la cura delle malattie endemiche.
lo
sviluppo infrastrutturale dei Paesi poveri mediante una concreta politica di
investimenti
Identità
Europea ed Economia
L’identità europea si afferma quando essa acquisisce il compito di realizzare
quel riequilibrio sociale utile a correggere il liberismo sfrenato e
"globale" e il capitalismo, che hanno sbiadito le identità nazionali
e creato una profonda frattura tra chi ha e chi non ha sia in termini di diritti
che in termini economici.
Tale riequilibrio si ottiene privilegiando il lavoro sul capitale e la politica
sull’economia e la finanza.
Diventa, quindi, prioritaria la difesa delle libertà sociali e personali in una
visione reale di stato sociale, dando voce e potere a quei corpi intermedi che
naturalmente difendono i popoli, le famiglie e le categorie produttive, che
costituiscono l’ossatura della nostra società civile.
Non deve essere una Europa di elite, lontana dai processi partecipativi e di
legittimazione popolare, come l’ Europa che ha imposto l’euro senza alcun
coinvolgimento dei popoli.
La filosofia che deve guidare un vero progresso sociale è quella più vicina al
senso comune, dove l’obiettivo sociale non sia la crescita del PIL o delle
borse ma il conseguimento di pace e giustizia sociale.
Il primo passaggio deve essere la revisione del Trattato di Maastricht, accordo
nei fatti già violato da Francia e Germania, per poi guardare all’obiettivo
minimo, ma essenziale, di garantire a tutti i cittadini europei un alloggio, da
mangiare e di che vestirsi: solamente partendo da questa base si potrà parlare
di economia al servizio dei popoli.
Il nuovo stato europeo, a tal proposito, dovrà intervenire e correggere le
tendenze antisociali dell’economia che sono proprie del liberismo: accorciare
le distanze fra coloro che hanno e coloro che non hanno e favorire la piccola
proprietà a svantaggio delle grandi multinazionali sono i principi cui
ispirarsi promuovendo:
Partecipazione:
se nel mondo politico è stato accettato che un requisito della libertà è la
partecipazione, in economia ciò non è ancora avvenuto. Noi siamo favorevoli
alla partecipazione di tutti i lavoratori alle decisioni aziendali oltrechè
alla partecipazione agli utili delle stesse. Questo rappresenta un passaggio
fondamentale nella formazione di un patto che consenta il superamento
dell’impasse economico ed il raggiungimento dei criteri di giustizia sociale.
Tutti proprietari: al contrario del socialismo e del capitalismo, i quali
nascondendosi dietro ad utopie e disquisizioni ideologiche, teorizzavano il
trasferimento della ricchezza dai tanti ai pochi, dalle comunità agli stati,
dalle famiglie alle banche, noi crediamo che un nuovo stato europeo debba
governare l’economia per trasformare un popolo di proletari in un popolo di
proprietari.
Politica
della casa: il diritto alla casa deve diventare un "diritto alla proprietà",
particolarmente importante al momento della formazione della famiglia. Gli
attuali mutui, che tutelano solo il sistema bancario, devono essere rivisti e
concessi a fronte del pagamento di interessi collegati con l’effettivo margine
di acquisto del denaro, sviluppando il ricorso alla formazione di istituti di
credito delle categorie. Inoltre, le abitazioni vanno concepite come idonee ad
ospitare famiglie numerose, in quanto non è ipotizzabile una politica di
sostegno demografico senza una corrispondente politica alloggiativa.
Occupazione:
qualora le politiche sulla immigrazione innanzi ipotizzate venissero adottate,
le aziende italiane avrebbero la necessità di assumere mano d’opera
nazionale. Il riavvio dell’occupazione, i cui dati sono ora inquinati dai dati
relativi alle regolarizzazioni dei lavoratori extra comunitari, consentirebbe di
avviare nei fatti e non nella mera propaganda quel processo di crescita della
produzione che è indispensabile per dare servizi e sostegno alle classi non
abbienti.
Politica
per la famiglia, l’infanzia e gli anziani
La sopravvivenza della nostra civiltà dipende dalla tutela della cultura della
prima sua cellula naturale, la famiglia. Quando la forza della famiglia è stata
erosa, le conseguenze per le Nazioni non si sono fatte attendere: calo
demografico, aumento della spesa sociale, diffusione di malesseri sociali.
Ne consegue che uno dei primi obiettivi è quello di concepire la difesa della
famiglia come società naturale ove l’individuo apprende le prime regole e
riceve una insostituibile considerazione della sua importanza come essere umano:
è per questo che i bambini debbono essere considerati come unici privilegiati.
Conseguentemente, l’architettura dei popoli europei si deve fondare su di
essa, la quale deve avere il riconoscimento formale e morale della propria
centralità. Uno strumento indispensabile per favorire questo passaggio è
quello di attribuire identificazione non solo sociale ma anche economica al
lavoro domestico. Uno stipendio alle donne che restano in casa otterrebbe i
seguenti benefici:
Darebbe
la libertà alle donne di scegliere tra lavoro intra moenia e extra moenia;
Darebbe
maggiore equilibrio alla vita familiare.
A
supporto della famiglia deve essere introdotta una legislazione che preveda non
solo sovvenzioni per le famiglie non abbienti nonché sgravi per l’acquisto di
beni per l’infanzia.
Inoltre,
in ambito europeo deve essere previsto il potenziamento e la riqualificazione in
tutti gli Stati membri del personale dei servizi sociali, in modo da garantire
alla famiglia un reale supporto per meglio attendere agli impegni lavorativi.
Per
l’infanzia deve essere attuata una politica che metta al centro la difesa
della vita e i bambini: sono questi i principi da difendere di fronte a tutto;
in particolare, va tutelato di diritto del bambino a vivere in una famiglia
fatta di genitori di sesso diverso, il diritto ad una tutela da ogni violenza,
il diritto ad una istruzione europea che ne salvi le radici culturali e il
diritto ad una tutela dai programmi TV e da internet.
La
politica a favore degli anziani deve raggiungere l’obiettivo di valorizzare
questa risorsa di cultura che ha radici profonde. Gli anziani debbono essere
coinvolti socialmente attraverso strutture di raccordo con il mondo giovanile e
piani di intervento specifici per l’eliminazione di ogni forma di disagio
sociale.
Difesa
delle libertà e rigetto del mandato di cattura europeo
Intendiamo assolutamente prioritari la difesa delle radici delle libertà
sociali e personali.
In questo contesto siamo fermamente contrari al mandato di cattura europeo, in
quanto questa figura giuridica contrasta profondamente con la realtà dei valori
costituzionali e non contempla alcuno strumento di controllo che il Giudice o lo
Stato nazionale possa utilizzare per impedire l’esecuzione del provvedimento
di altro Paese.
FRONTE
SOCIALE NAZIONALE
Le
tre liberazioni
Nazionale
Su questa questione spenderemo poche parole, perché diamo per scontato che
l’opposizione totale all’imperialismo americano sia un dato acquisito
del nostro patrimonio storico e politico. Del resto la fine del bipolarismo
mondiale e il fallimento dell’utopia marxiana dovrebbero aver sgombrato il
campo da certo anticomunismo di maniera con il quale i politicanti
opportunisti tendono di imbonire tutte le forze antagoniste. È oramai
lampante che il Nemico dell’uomo è uno e uno soltanto: l’imperialismo
globale americanocentrico, il capitalismo che affama e uccide, e i loro
servi prezzolati. Il Fronte nazionale rigetta radicalmente il Sistema
americano, in tutte le sue espressioni. Il FN considera tutti i partiti
italiani, dai DS ad AN "collaborazionisti" con l’occupante
americano, e sulla base di questo assunto invalicabile condurrà tutta la
sua campagna politica e sociale, nonché i rapporti con il mondo politico di
Regime.
Sempre in base al suddetto presupposto, cercherà invece l’alleanza e la
collaborazione con tutte le realtà politiche e sociali, interne ed
internazionali, di qualsiasi estrazione e provenienza, che identifichino nel
globalismo neocolonialista-imperialista degli USA e nei suoi strumenti di
dominazione mondiale il vero "nemico pubblico planetario". La
collocazione reazionaria dell’ex-sinistra come dell’ex-destra ci
facilita il compito. Ma bisogna anche dotarsi degli strumenti culturali e
politici adatte alle soglie del Terzo Millennio, a questo fine il FN, unico
tra i partiti e i movimenti esistenti, adotterà come strumento di analisi e
orientamento politico del movimento di liberazione la GEOPOLITICA.
La Geopolitica è la Scienza che studia i rapporti tra il fattore Politico e
il dato Geografico nella storia interna ed estera dei popoli e delle masse
continentali.
L’approccio geopolitico non soltanto permetterà al FN di avere una
comprensione chiara e semplice dei rapporti di forza internazionale e degli
accadimenti passati e presenti anche interni, con previsioni per il futuro,
ma ci offrirà l’occasione di affrontare le problematiche politico-sociali
sotto un’ottica completamente NUOVA ed ACCETTABILE da tutti. Essa ci offre
l’opportunità non solo di una de-ideologizzazione della Politica, in
questo in sintonia con la tendenza generale, ma anche di una proposizione
delle tesi frontiste in politica interna ed internazionale comprensibile a
tutti e compatibile con le più differenti collocazioni ideologiche e
politiche. Non a caso i nostri nemici, dopo averla occultata e
criminalizzata per decenni, hanno cercato di piegare la geopolitica alle
esigenze mondialiste del potere dominante (la rivista "Limes"
docet). La geopolitica può veramente divenire strumento prioritario di
lotta oltre ad offrire la chiave interpretativa dei fatti correnti; una
chiave che ci permetterà di aprire molte porte finora per noi precluse in
partenza da pregiudiziali ideologiche tanto obsolete quanto dure a morire.
Sociale
Il Fronte Nazionale ha già assunto fin
dall’inizio una posizione promettente su
tutta la questione delle dinamiche economiche
e sociali, forte anche di un proprio retaggio
storico che deve essere integrato da altra
analisi. La nostra collocazione
anticapitalista ed antiliberista è quanto mai
precisa e radicale, perché il FN è sempre e
comunque dalla parte del popolo, dei
lavoratori, della COMUNITÀ’ NAZIONALE
contro i Poteri forti del Grande Capitale
Cosmopolita, della Finanza apolide. Siamo, e
saremo sempre, in particolare, con i
diseredati della Terra, gli emarginati, gli
oppressi, gli sfruttati, le categorie più
deboli e indifese della società e con
chiunque lotti per l'EQUITÀ’ e il diritto
di ogni membro della Comunità ad avere i beni
e i servizi essenziali ad una vita degna di
essere vissuta e proiettata verso interessi
che travalichino il fattore meramente
materiale.
Per questo, sull’insegnamento dei nostri
avi, siamo per la Proprietà Sociale dei mezzi
di produzione, in particolare modo per quanto
concerne quelli essenziali allo Sviluppo ed
alla difesa della Comunità stessa. Si pensi
soltanto al sistema bancario, assicurativo
alle materie prime e fonti energetiche, ai
servizi e alle comunicazioni, alla grande
distribuzione, ai prodotti agricoli ed al
patrimonio zoologico e forestale come alle
mega-concentrazioni industriali-finanziarie,
internazionali e non, che sono diventati veri
e propri stati nello stato, nonché cavalli di
Troia per la penetrazione dei potentati
stranieri, nordamericani in primis, l’altra
branca – oltre quella militare – che tiene
schiacciata l’Italia e l’Europa sui diktat
della banca Mondiale e del FMI. Ma oltre alle
petizioni di principio e alle costruzioni
monetaristico-finanziarie di pochi addetti ai
lavori, il FN deve dare una risposta concreta
alle richieste immediate della società civile
di oggi, di ora, con la quale e sulla quale
vuole ri-costruire il Destino della Comunità.
Proposte concrete e attuabili, che sappiano
trasformare lo scontento popolare in
prospettiva rivoluzionaria, cioè
politicamente realistica. Nel mondo del Nuovo
Millennio, venuta meno la cosiddetta
"centralità operaia" e tramontato
definitivamente "l’internazionalismo
proletario" di marxistica memoria, la
NUOVA LOTTA SOCIALE si sposta sul terreno
NAZIONALE e sull’integrazione di aree
continentali economicamente e politicamente
autosufficienti: è la lotta dei popoli che
hanno ritrovato la propria identità storica,
etnica, Culturale e spirituale contro il
Capitale apolide e la ristretta cerchia di
oligarchi mondialisti cosmopoliti che hanno
oggi in pugno i destini dei popoli e
dell’intero pianeta.
|
Etnico-culturale
Il terzo pilastro fondamentale dell’azione
politica del FN riguarderà la definizione
dell'identità etnica e culturale in senso
lato. Riappropriarsi delle radici, della
propria Storia, della propria lingua e
cultura, dei propri Valori, in una parola
della propria Tradizione è un imperativo per
un Movimento che vuole, in prospettiva, non
soltanto rivoluzionare le istituzioni sociali
e politiche, ma pretende di porsi
all’avanguardia di un rinnovamento nello
stile e nella Visione del mondo di un popolo
ormai quasi totalmente asservito ad una
visione consumista e materialista
dell’esistenza.
Il FN riconosce e difende la specificità di
tutti i popoli, nella penisola come
nell'intera Europa e nel Mondo. Il FN è a
favore dell' AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI nel
quadro di una CONFEDERAZIONE EURASIATICA,
dall'Atlantico al Pacifico.
Proprio per questo rifiutiamo, al contrario,
la strumentalizzazione mondialista delle
giuste aspirazioni delle minoranze, in quanto
parte di un progetto di annientamento mondiale
delle differenze che fanno la ricchezza della
terra. Noi rifiutiamo per principio
l'ingerenza di tutti gli organismi
internazionali e delle strutture
politico-econornico-rnilitari altre nella vita
interna della nazione. Chiediamo la revisione
dei trattati internazionali capestro imposti
con la guerra, il ricatto politico, le
sanzioni economiche, lo strangolamento
finanziario degli usurai internazionali.
Anche la scottante questione dell'immigrazione
cosiddetta "extra-comunitaria" vede
il FN schierato su posizioni innovativi ed
originali, sia aspetto alle logiche dei
Mercato Unico Globale che manovra la
disperazione e la miseria (da lui stesso
provocate) dei diseredati mondiali, come massa
sottoproletaria per abbassare salari e livelli
di vita dei lavoratori nazionali, sia nei
confronti dell'isterismo becero e strumentale
della destra e della sinistra, moderata ed
estrema, che, in un senso o nell'altro spinge
alla "guerra etnica fra i poveri",
fornendo ai capitalisti mondiali una
giustificazione ideologica e nuove
opportunità di sfruttamento generalizzato.
]i FN è, come sancito dallo stesso Statuto,
immune da ogni "deriva" xenofoba
proprio per la sua prospettiva geopolitica e
culturale globale. Per questo dobbiamo sempre
più prendere le distanze da quegli ambienti
partitici e gruppuscoli che hanno fatto di
tale questione il pressoché unico
"cavallo di battaglia". La battaglia
contro l'immigrazione indiscriminata, anche se
necessaria, diventerebbe inutile, fuorviante e
controproducente se non inquadrata in quella
politica e sociale internazionale da noi
proposta.
Bisogna evitare le strumentalizzazioni dei
problema immigrazione (in un senso o
nell'altro) per non ritrovarsi in un terreno
affollato di politici o pseudo tali con i
quali non abbiamo nulla a che spartire. La
realtà vera è che questo problema, pur reale
e presente, può risolversi solo nel quadro
politico generale di lotta che abbiamo qui
proposto che si può sintetizzare in questo
modo:
l’immigrazione indiscriminata non è
soltanto un problema di ordina pubblico, che
va affrontato comunque con risolutezza e senza
infingimenti, ma è un fenomeno epocale
generato dalle sciagurate politiche liberiste
sovranazionali che hanno reso drammatiche le
condizioni dei popoli disagiati.
Organizzazioni criminali aiutano ad emigrare
centinaia di migliaia di persone approfittando
della loro disperazione, ma il loro destino è
quello di finire nella promiscuità, nel
degrado, nelle tensioni interetniche, nel
crimine, con la complicità diretta ed
indiretta di forze politiche ecclesiali
pseudo-solidali ma di fatto irresponsabili e
ciniche.
È contro questi nemici, e non contro i
reietti della terra, che va indirizzata
radicalmente la nostra lotta. Per restituire,
a chi la perse, le proprie radici, la propria
cultura, la propria terra.
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(www.dilloadalice.it n.98 del 29/03/2006)
Non è vero
che chiunque vinca non cambierà niente.
L'esempio paradigmatico proviene dal Piemonte, regione passata nelle mani
del sinistra-centro.
Ebbene, il 25 maggio 2005, un mese dopo le elezioni, una delle prime
iniziative della Regione divenuta rossa è stata quella di far pagare ai
contribuenti la transgressività.
Grazie a Mercedes Bresso, chiunque voglia cambiar sesso, può farlo in
Piemonte, con assistenza di ottimo livello, grandi luminari della medicina,
tecnologie avanzatissime, tanto il conto lo paga Pantalone.
Presso l'ospedale delle Molinette, in collaborazione con l'Università di
Torino, è stato, infatti, creato il Centro interdipartimentale disturbi
identità di genere, CidiGeM, che, nonostante le troppe parole, significa
semplicemente: cambiamento del sesso per chi ha problemi mentali.
La questione - va rimarcato - non attiene ovviamente alle opzioni sessuali,
più o meno sane o patologiche, che ogni cittadino è libero di prescegliere,
riguardando, invece, la liceità della tassazione, ora aggravata, in Piemonte,
anche dalla pubblica assistenza, all'agognato cambiamento di sesso.
Il sinistra-centro non ha badato ai costi: il progetto sanitario, ad uso e
consumo dei soli transessuali, vede la collaborazione dell'istituto di
Urologia 2, diretta dal professor Dario Fontana; dell'istituto di
Endocrinologia e malattie metaboliche, diretto dal professor Ezio Ghigo;
dell'istituto di psichiatria 1, direttore professor Filippo Bogetto.
Da notare di passaggio che i costi della Regione aumenteranno in maniera
esponenziale, per l'implicito effetto domino: dovranno essere costruiti nuovi
ambulatori, bagni, corsie.
Al momento, sono stati eseguiti soltanto interventi chirurgici da maschio a
femmina, ma le aspiranti al percorso contrario, appresa la buona nuova del
servizio gratuito, sono già numerose.
Per anni, i magistrati di prima pagina ci hanno epicamente ricordato il
loro stoico impegno nel controllo di legalità.
Ebbene, se c'è un giudice a Torino, che dirimi almeno la seguente
dicotomia: se è vero che esiste - anche se a lungo disattesa - la legge del
1982, che autorizza i passaggi di sesso a spese del contribuente, è
altrettanto vero che vige una norma opposta, che vieta interventi in assenza
di malformazioni o patologie.
Come la mettiamo?
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